Da dove è nata la follia omicida di Giuseppe Pecoraro, il benzinaio che ha confessato di avere dato fuoco a Marcello Cimino, un ragazzo che dormiva per strada, uccidendolo? Tutto abbiamo visto e nulla abbiamo compreso, perché la trama appare davvero incomprensibile, orrenda – e naturalmente ingiustificabile – per le nostre vite social, condotte nel perimetro garantito dei like e delle faccine. Ecco perché il video dell’esecuzione – l’ombra che si avvicina e incendia un’altra ombra – ci ha rimescolati fino in fondo. Non sospettavamo tanta ferocia, tanta devastazione.
I protagonisti – secondo il risultato delle indagini, vidimato da un’ammissione – sono due persone che non hanno niente e che hanno perso tutto. Marcello, la vittima: una separazione, lavoretti saltuari, poi, nulla; la strada come opzione estrema, per dimenticare, per dimenticarsi. Giuseppe, l’assassino che ha raccontato il suo crimine ai poliziotti: impiegato nella pompa di benzina di piazza Cappuccini, una figura gentile e scialba, così racconta chi lo ha intravisto per un rifornimento.
Si erano conosciuti alla mensa dell’accoglienza, in via Cipressi, il luogo del delitto. Marcello che ha il permesso di dormire davanti al porticato. Giuseppe che sbocconcella qualcosa a fine turno. Possiede solo un amore, nella sua esistenza grama, che lo rende geloso, anzi, pazzo. E si è messo in testa – questo, al momento, è ciò che sappiamo – che quel barbone dal profilo mite sia il suo più acerrimo concorrente, il clochard galante che gli insidia la donna, un pericolo per i suoi sogni. Gli unici brandelli rimasti di una vicenda personale strappata.
Giuseppe coltiva il suo odio, sotto la tuta della pompa di benzina. Nutre la sua follia con le ossessioni. La accarezza con la solitudine di chi non ha altro: un amore e i frettolosi saluti dei clienti. L’amarezza si trasforma in violenza imperdonabile che accende la dannazione eterna della scorsa notte. Un’ombra scivola tra le ombre, lungo il muro della Missione dei Cappuccini. Gesti criminali e rapidi. La benzina su quel corpo indifeso e innocente. La fiammata. Una telecamera riprende tutto.
La mattina dopo, Palermo si risveglia col suo film domestico della barbarie. E si interroga: chi è stato? Qualcuno avanza la solita minestrina sociologica sui vinti e sui balordi che li perseguitano. Qualcuno se la prende col sindaco – col retrogusto di una sconcia polemica elettoralistica – che non vigilerebbe abbastanza sulla miseria dei senzatetto: come se fosse stato Leoluca Orlando in persona a scivolare, ombra tra le ombre, nel buio di via Cipressi. Tanti si riscoprono sceriffi del web e si allacciano il cinturone, mettendo mano alla corda e invocando pene atroci: non arrestatelo, datelo a noi.
Ma la sociologia, stavolta, non c’entra: Giuseppe ha confessato. Nel mare vasto di internet, si mostra sorpresa, una volta svelata l’identità. Come è possibile? Chi? Il benzinaio? L’ometto scialbo che sorrideva sempre? Dietro il sorriso era nato un mostro di gelosia. Quando perdi tutto, quando niente puoi recuperare, cosa resta nella sconfitta che assume il pallore di una malattia incurabile, se non qualcuno da immaginare colpevole?
Giuseppe Pecoraro, vita perduta, ha ucciso Marcello Cimino, uomo buono, vita perduta. E’ crollato, quando non ha potuto più dire che la bruciatura sulla mano se l’era procurata per via della macchinetta del caffè. Era un segno del rogo che aveva appiccato. Lui, carnefice e vittima del suo stesso fuoco.