CATANIA. Sono le intercettazioni disposte nell’ambito delle indagini avviate all’indomani della morte del giovane Salvatore Vadalà e della scomparsa di Giorgio Curatolo ad inchiodare i quattro esponenti del clan Brunetto, Carmelo Olivieri, Salvatore Brunetto, Benedetto La Motta e Alfio Patanè, tutti condannati in primo grado per associazione mafiosa dal gup di Catania Alessandro Ricciardolo.
Dai colloqui in carcere, registrati dal febbraio all’aprile del 2009, tra Sebastiano Patanè, membro di spicco della consorteria mafiosa, ed il figlio detenuto Alfio, emergono episodi che dimostrerebbero, secondo il Gup, il pieno inserimento e la posizione apicale rivestita nel clan da Salvatore Brunetto, condannato a 12 anni di reclusione. Da quelle conversazioni si evincerebbe anche la stretta vicinanza tra i Brunetto e i vertici del clan Santapaola Ercolano, in particolare Vincenzo Aiello e Rosario Tripodo, con i quali si susseguivano incontri. Ad uno di questi Salvatore Brunetto si sarebbe presentato con cinque o sei persone armate, suscitando l’ira dei boss catanesi. Un comportamento ritenuto offensivo, ma non punito, riferisce Sebastiano Patanè, solo per il rispetto nutrito nei confronti del fratello, il boss Paolo Brunetto deceduto nel 2013.
Sebastiano: …(continua a gesticolare indicando una persona corpulenta e con i baffi)…dice…lui non lo accetta questo fatto…lui a noi non ci sta bene…perché si è presentato con cinque persone, sei persone tutte (gesticola in modo evidente indicando persone con pistole nella cinta)
Alfio: …che ha fatto, si è presentato?
Sebastiano: …si è incontrato con queste persone…con SARO e LUI (labiale)…e ci è andato con cinque o sei (continua a gesticolare in modo evidente indicando persone con pistole nella cinta)…
Alfio: …ah, ah…
Sebastiano: …gli era sembrato che quelli facevano un altro mestiere…
Alfio: …ah..
Sebastiano: …per il rispetto di quello – dice -…ce ne siamo andati…altrimenti dice dovevamo tornare l’indomani (gesticola in modo evidente indicando una persona che deve andare a colpire)…
Sebastiano…gli ho detto io, per volere di quello, per volere di quello…PAOLO (labiale)…
Quelle stesse intercettazioni in carcere, disposte nell’ambito dell’inchiesta sul barbaro assassinio del giovane di Fiumefreddo di Sicilia, Salvatore Vadalà, dimostrerebbero la piena appartenenza al clan Brunetto anche di Alfio Patanè, condannato a 8 anni.
Ma su quest’ultimo pesano anche le convergenti dichiarazioni di ben 5 collaboratori di giustizia, che lo indicano come membro effettivo del Gruppo di Fiumefreddo di Sicilia, legato al clan Santapaola. E’ Filippo Santo Pappalardo a evidenziare i rapporti tesi all’interno del clan, tra Alfio Patanè e Paolo Brunetto. Il boss gli aveva confidato nel carcere di Bicocca di voler uccidere Patanè perché parlava troppo. Tensioni confermate anche dai dialoghi tra padre e figlio.
Alfio:...non gli sta bene?, Appena esco mi “vado a dichiarare” con la “squadra” più scarsa che c’è a Catania e gli faccio una guerra che gli ammazzo pure i pneumatici che hanno montato nei camion…gli devi dire…la malavita l’ha voluta fare lui! La malavita con me l’ha voluta fare lui! Allora se tu ora vuoi fare la malavita perché io volevo capire questo, che tu facevi il doppio gioco con me e con mio padre, mio padre, mio padre…perché mio padre è una persona buona, umile e non vuole…per il quieto vivere ma…
Padre:…non è come dici tu…
Alfio:…ahh? Allora che vuoi dire che le dovevo capire io queste cose?
Padre:…no! Per me sono sempre amici miei! Stai calmo! Io non sono come loro
E’ invece dalle indagini condotte dai carabinieri della Compagnia di Giarre per far luce sul presunto caso di lupara bianca, di cui è vittima il 36enne giarrese Giorgio Curatolo, che emergerebbero i ruoli ricoperti all’interno del clan Brunetto da Carmelo Olivieri e Benedetto La Motta, entrambi condannati a 7 anni. Nel corso della conversazione captata all’interno dell’abitazione di Curatolo, tra la compagna dello scomparso e il presunto affiliato Giovanni Calì, quest’ultimo ricostruisce ruoli e territori di competenza all’interno del clan. A riconoscere in La Motta il responsabile della zona di Riposto è anche uno dei due collaboratori di giustizia che lo indicano come appartenente al clan Brunetto. Stesso ruolo per Carmelo Olivieri, responsabile per il comune di Giarre.
Le eccezioni sollevate in aula dai difensori di fiducia di La Motta e Olivieri sull’inutilizzabilità delle intercettazioni per la consapevolezza, secondo la difesa, di entrambi gli interlocutori, la compagna di Curatolo e Giovanni Calì, di essere ascoltati dai carabinieri, non hanno convinto il giudice. Per il gup, infatti, se non ci sono dubbi che la compagna dello scomparso sapesse di essere intercettata, non è altrettanto evidente che Calì ne fosse a conoscenza.
Infine, l’assoluzione di Rosario Russo. Per il Gup l’accusa non sarebbe riuscita a dimostrare, aldilà di ogni ragionevole dubbio, l’appartenenza al clan dell’imputato. Quell’unica conversazione, tra Sebastiano e Alfio Patanè, nella quale vengono pronunciati il nome di Saro, come esponente di vertice del clan, e del figlio Giuseppe, non sarebbe sufficiente a dimostrare che i soggetti indicati fossero proprio i Russo.