PALERMO– “Io avevo detto che non mi sarei candidato sotto le bandiere dei partiti. Grasso ha scelto, legittimamente, di candidarsi sotto le bandiere di un partito che non ha mai fatto la lotta alla mafia”. Parole di Antonio Ingroia, all’ultimo minuto, rilasciate ai microfoni di ‘Repubblica’. E la foto fresca fresca della stretta di mano fra magistrati che non si sono mai amati si appanna. Va in frantumi. Grasso vs Ingroia, Ingroia vs Grasso. Titolo accattivante, utilizzato dalla cronista giudiziaria Liana Milella nel suo blog, per condensare anni di rivalità. “Tanto di cappello – scrive Milella – all’associazione anti-racket Addiopizzo. Ma un faccia a faccia tra Ingroia e Grasso, inevitabilmente elettorale, proprio a Palermo – in sé pur giusto per carità – sarebbe stato meglio evitarlo. Invece si svolgerà, per parlare di beni mafiosi e dintorni. Al di là dei contenuti, che di sicuro saranno interessanti, il rischio è soprattutto quello che si rinfocoli e si esasperi la polemica sui magistrati candidati, in particolare quelli che corrono nella stessa città dove hanno lavorato. Ingroia, per esempio, che è capolista di Rivoluzione civile in tutta Italia, e quindi anche a Palermo. Ma lo stesso Grasso, che pure si candida nel Lazio, che pure non ha fatto indagini dirette per via del suo incarico di capo della procura nazionale antimafia, ma che a Palermo ha vissuto e lavorato”.
Dunque, i due si sono incontrati nell’aula magna di Ingegneria, in viale Delle Scienze. Sullo sfondo, un interessante dibattito organizzato da Addiopizzo con voci plurali e competenti. Però l’epicentro era tutto lì. Piero e Antonio destinati a discutere insieme, dopo anni di rivalità a Palazzo di Giustizia, dopo scelte di campo in politica che ne hanno sancito le rispettive e irriducibili visioni del mondo. Uno amico intimo di Giovanni Falcone, l’altro allievo prediletto di Paolo Borsellino, divisi anche dalle sfumature di una memoria identica. Infatti, all’orario stabilito, grande è la calca di cronisti al portone di Ingegneria. Arriva per primo Ingroia. Domanda: c’è Piero Grasso. Risposta: “Lo conosco, non è un problema”. Una stoccata a Matteo Renzi che l’ha sostanzialmente accusato di intelligenza col nemico: “Renzi parla a casaccio. Criticava Bersani, ora ci va a braccetto”. Un plauso a Vendola che ha bastonato Berlusconi. E si materializza Grasso. Sbandamento oceanico nella platea di giornalisti, fotografi e operatori: da che parte andiamo? Metà resta al suo posto. Metà si sposta. L’ex procuratore nazionale Antimafia la mette in battuta: “Sono grasso, ho bisogno di spazio”. Quesito simmetrico: dottore, c’è Ingroia. Sorriso da consumato attore: “Antonio? Un valoroso e bravo magistrato. Ci conosciamo da quando era uditore giudiziario. Gli dico: benvenuto in politica”. Piero si muove verso Antonio che se lo vede praticamente addosso e non può esimersi. Stretta di mano, due baci sulle guance. Orgasmo di flash. Ricordate la famosa foto di Falcone e Borsellino, l’uno chino sull’altro in atteggiamento complice? Non gli somiglia per niente.
Comincia il dibattito. Ingroia di qua, Grasso di là, divisi da Daniele Marannano di Addiopizzo nel ruolo di moderatore. Sono i due campioni del ring approntato qui. Sparring partner: Fabio Granata, Dore Misuraca e Alessandro Piergentili, soldato Gianniniano paracadutato nella mischia. Schermaglie a distanza. Ingroia: “I leader sono tutti politicanti. Alcuni seri, altri no. Bersani è il segretario di un partito vecchio. Nessuno ha portato avanti la lotta alla mafia, perché la nostra classe dirigente è compromessa”. Al suo turno, Piero Grasso replica con veemenza crescente: “Dire che il Pd è rimasto quello che era è fuori dalla realtà”. Ingroia si dichiara favorevole all’amnistia. Grasso prende di petto il problema del sovraffollamento delle carceri. I minuti scorrono. Antonio scappa via. Nuova stretta di mano. Di prammatica.
Perché non si amano? Ce lo ha raccontato Gaetano Savatteri sull’ultimo numero di ‘S’: “In vent’anni, le ragioni del dissenso si sono approfondite, passando per l’esito dei processi ai politici promossi dalla procura di Caselli, per la gestione di alcuni pentiti e del processo contro Totò Cuffaro della procura di Grasso, per la vicenda politica che bloccò Caselli nella corsa alla procura nazionale antimafia, finendo per avvantaggiare Grasso. Senza parlare del diverso approccio verso l’indagine sulla trattativa tra Stato e mafia, con le refluenze che hanno investito il Quirinale”.
Alla fine Ingroia chiarisce inequivocabilmente come sia viva la guerra dei magistrati a sinistra: una sorta di nemesi. E pone un discrimine. Parla di bandiere e del Pd estraneo al contrasto contro Cosa nostra. Di una legge Ingroia-La Torre (figlio di Pio) sull’aggressione ai patrimoni. Di qua e di là. Con buona pace delle strette di mano a uso mediatico e delle foto. Vecchie o nuove.