PALERMO – Ne ha dovute passare tante, Claudio Ranieri, prima di poter vincere un campionato. Allenatore stimato praticamente ovunque, ma etichettato sempre come eterno secondo, il successo sulla panchina del Leicester è stato un riscatto inaspettato dopo anni passati a veder vincere gli altri. Un’ingiustizia, per una carriera iniziata nel profondo sud, tra Lamezia e Pozzuoli, con un apprendistato a Palermo. Ultimi anni da calciatore in maglia rosa, elemento più esperto di una squadra che ottenne una promozione in Serie B e una salvezza tra i cadetti prima del fallimento, quel fallimento che di fatto segnò la fine del Ranieri calciatore e l’inizio del Ranieri allenatore. Allenatore, però, Ranieri lo era in campo, quando Domenico Rosati preferì spostarlo da terzino a centrale, per guidare i compagni dalle retrovie.
Era l’anno del riscatto post-retrocessione, era l’anno di Roberto Parisi ucciso dalla mafia e di un Palermo che si apprestava a scomparire. Atmosfere cupe che i giocatori cercavano di tenere il più lontano possibile dal loro spogliatoio, intrattenendo con i tifosi un rapporto che difficilmente oggi sarebbe replicabile. Un calcio diverso, al di là di facili retoriche sul business che ha travolto questo sport proprio a partire dalla fine degli anni ’80. Palermo non era la Palermo di adesso e la fame di calcio di una città costretta a vivacchiare tra Serie B e Serie C era tale da elevare giocatori come Ranieri a veri e propri beniamini della tifoseria.
Ne nascevano di club organizzati, in quel periodo, nella curva dell’allora “Favorita”. E nel clima disteso tra tifosi e giocatori, non era raro vedere presenziare qualche rappresentante della squadra alle feste dei collettivi ultras venuti alla luce a metà anni ’80. Immancabile, a questo punto, anche la presenza di un elemento di spicco come Claudio Ranieri, ospite d’onore degli Albatros. Il gruppo dell’Arenella, nato proprio nel 1985, nel giorno dell’inaugurazione ha avuto proprio l’attuale allenatore del Leicester tra i rappresentanti della squadra rosanero, insieme a De Vitis, Maiellaro e Bigliardi, quest’ultimo scelto simbolicamente per tagliare il nastro e aprire le porte del neonato club ultras.
Rapporti tra squadra e tifoseria che andavano ben oltre il semplice supporto in campo. Un supporto reciproco, che sarebbe continuato anche negli anni a venire, con il Palermo costretto a ripartire dalla C2. Ranieri, da giocatore navigato, non si limitava solamente ad essere un’interfaccia verso il popolo palermitano, ma si rivelò una guida anche per i giovani di una squadra capace di risalire immediatamente dagli abissi della Serie C. Lì dietro a tutti, nella linea difensiva, era lui a dare ordini ai compagni: dal posizionamento alle marcature, con qualche consiglio prezioso per qualche ragazzino fin troppo esuberante. “Dosa le forze”, il mantra di allora, ben diverso da un “dilly ding dilly dong” che all’epoca non avrebbe mai pensato di esclamare né in campo, né in sala stampa. Trent’anni dopo è cambiato tutto: il Palermo stavolta lotta per la A e Ranieri è diventato un vincente. E quella che è stata la sua città per due anni conserva ancora con simpatia il ricordo di un uomo destinato a far carriera.