Il disastro delle Province |e la sconfitta di Crocetta - Live Sicilia

Il disastro delle Province |e la sconfitta di Crocetta

La maggioranza non esiste. La madre di tutte le riforme, quella delle Province, rischia di morire in culla. Intanto migliaia di siciliani restano senza stipendi dopo il disastro della finanziaria. Ha senso andare avanti così?

 

L'editoriale
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PALERMO – In una assurda seduta d’Aula, ieri sera l’Ars ha messo il bollo su una verità che a tutti, fuori e dentro il Palazzo era drammaticamente chiara da tempo: la maggioranza in Sicilia non esiste. Altro che vertici romani , altro che intese blindate, altro che cambi di passo: nel momento della prova della verità, chiamata a votare sulla madre di tutte le riforme, quella che dovrebbe mandare in pensione le Province, la così detta maggioranza del governo Crocetta è andata subito in frantumi. Abbattuta al primo colpo tentato dall’opposizione, impallinata dal tiro dei suoi stessi franchi tiratori quando i grillini hanno deciso di toglierle lo scudo che avrebbe potuto metterla in salvo dalle imboscate.

La riforma delle riforme rischia di morire in culla. L’Aula ha eliminato le Città metropolitane, ossia uno dei pilastri portanti del nuovo sistema che doveva sostituire le vecchie province. Un disastro. Che segue al disastro del mese scorso, quello della finanziaria fatta a pezzi dal commissario dello Stato. Una caporetto, quella della manovra, per la quale ancora i siciliani si leccano le ferite, con migliaia di lavoratori rimasti senza stipendio in attesa di una complicata manovra bis che metta una pezza e della quale ancora non si vede traccia.

La domanda è semplice: che senso ha andare avanti così? Quanti e quali pastrocchi dovranno aspettarsi i siciliani, mentre fuori dal Palazzo l’Isola affonda divorata da una crisi senza precedenti? Con l’Ars ridotta a un insidioso pantano, a una giungla vietnamita in cui il fuoco amico e quello nemico si incrociano non lasciando scampo a un governo mal digerito dai suoi stessi alleati, è difficile potersi aspettare che dalla politica arrivino le risposte che i siciliani disperatamente attendono.

Rosario Crocetta si è illuso nel suo primo anno da governatore – mestiere difficile – di poter giocare da solista. Ma la Regione non è il Comune di Gela. E il conto per questo errore di calcolo sta arrivando salatissimo al presidente della Regione e alla sua giunta. La brutta notizia è che a pagarlo saranno alla fine i siciliani. Ai quali apprendere dai giornali che al presidente piacciono anche le signore, probabilmente, interessa poco.

E allora, dopo tutte le parole che ci sembra di aver scritto invano in questi mesi, sono davvero poche quelle che ci restano nel carniere. Perché la verità nella sua tragicità è fin troppo semplice. E dice che in questo modo andare avanti è impossibile. Perché, per usare una poco raffinata ma efficace espressione del linguaggio parlato, è chiaro a tutti che così si va a sbattere.

Riconoscendo a Crocetta tutti gli sforzi per marcare segnali di discontinuità rispetto al passato, non si può non vedere che questa discontinuità mai potrà realizzarsi senza una maggioranza che appoggi il governo. Fin qui Crocetta non è stato capace di costruirla e consolidarla. Il risultato è lo schianto di ieri a Sala d’Ercole, dopo un anno, un anno intero, andato sostanzialmente perduto, da quando l’Ars approvò la legge che gettava le basi per la riforma delle Province.

Anche la sopravvivenza di questa legislatura, in queste condizioni, sembra ogni giorno di più una colossale perdita di tempo. O la musica cambia, e subito, o tornare alle urne diventerà il male minore per tutti. Salvo che i conti disastrati della Sicilia non spingano verso un altro epilogo, quello di un commissariamento. E fa male rendersi conto che l’eventualità potrebbe essere persino la migliore.

 


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