Il giudice che ricorda Vincenti: | "Quel giorno non mi lasciò solo" - Live Sicilia

Il giudice che ricorda Vincenti: | “Quel giorno non mi lasciò solo”

Il suicidio di un magistrato. Il dolore di un collega che ricorda un episodio speciale.

PALERMO- Essere giudici ed essere soli. Anche Leonardo Sciascia, che non fu tenero con certi esponenti della categoria, riconosceva la solitudine e il dramma del giudicare. Essere giudici e ricordarsi dell’umanità sotto la toga, nel cuore dei codici. Degli uomini che passano, colpevoli o innocenti, e vanno. Ognuno incatenato a un’altra solitudine. Forse essere giudici significa non dimenticare la radice invisibile che unisce tutti coloro che stanno dalle parti opposte di una sentenza.

Si è suicidato il giudice Cesare Vincenti a Palermo. Un altro giudice, Nicola Aiello, suo collega e amico, scrive su facebook in memoria: “Io ho un bellissimo ricordo di Cesare Vincenti: una mattina mi chiamò nel suo ufficio per dirmi se volevo essere accompagnato da lui all’aula bunker per il processo nei confronti di 49 imputati di associazione mafiosa. ‘Non voglio lasciarti da solo’, mi disse. ‘I Carabinieri hanno trovato una croce sulla tua porta e alla redazione di Repubblica è arrivata una lettera di minacce nei tuoi confronti’. Gli risposi che già quelle parole mi avrebbero dato la forza di non sentirmi solo”.

“Con Cesare Vincenti – prosegue la memoria – abbiamo lavorato insieme per dieci anni, ricordo che teneva molto anche all’immagine del magistrato e una volta accettai il suo rimprovero per essere andato in udienza senza cravatta. Io non so perché oggi abbia deciso di compiere quel gesto, non so che cosa possa essergli passato per la mente, ma credo che ciascuno di noi, nel ruolo di magistrato, non dovrebbe mai perdere di vista quella dose di umanità e di rispetto che è dovuta a ogni uomo e a ogni imputato, sia egli magistrato sia chiunque altro”.

E poi ci sono altre rimembranze, aggiunte e tramandate, cose che il dottore Aiello tiene come preziose: “Una volta entrò nella mia stanza e lesse con attenzione le parole di Gesualdo Bufalino che io avevo appeso alla parete: ‘La solitudine della toga’. Convenne con me che si è soli quando si firma una misura cautelare o una sentenza di condanna all’ergastolo, perché non esiste niente di più assurdo di un uomo chiamato a giudicare un altro uomo. Mi disse che concordava con me l’importanza di coltivare il dubbio, di sapersi mettere in discussione, perché se un magistrato non sa mettersi in discussione può fare danni disastrosi”.

La cronaca incombe, col suo fardello di dolore: “Sono molto triste e sono dispiaciuto per non essere riuscito a salutarlo nel giorno del suo pensionamento. Non ero a Palermo, altrimenti sarei andato certamente. Oggi, quando ho appreso la notizia, sono andato sul posto e sono rimasto in silenzio. Conserverò con me i ricordi più belli di Cesare Vincenti”. Essere giudici e insieme uomini. E non dimenticarlo mai.

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI