Ciao Peppino, senti che applausi, guarda che giro finale di campo. Sei uscito in punta di piedi, con la maglietta sulla vita e l’anima appesa al cuore, tu, siciliano di mare aperto, con orizzonti larghissimi. Eri forte, magari non eri Pelè. Ma guarda quante lacrime ti salutano, quante mani vorrebbero stringerti, quanti palloni ti sognano, mentre dormono nei sacchi a rete in uno stadio.
Questo dimostra che per essere amati ci sono diverse strade. Puoi essere Pelè, quello vero, o quello immaginario che, in ‘Fuga per la vittoria’, segna con una rovesciata, appunto, cinematografica. E la gente ti ama per i sogni che hai trasformato in realtà. Puoi essere Giuseppe Rizza, ragazzo di Noto, fortissimo, certo, ma non Pelè, ed essere amato lo stesso.
Abbiamo letto della tua dipartita. Eri ricoverato all’ospedale ‘Cannizzaro’ di Catania. Ecco i dispacci della catastrofe: “L’ex calciatore della Juve Primavera si è spento all’età di 33 anni. Era ricoverano in prognosi riservata da un mese all’ospedale Cannizzaro di Catania per via di un aneurisma cerebrale”, narra, per esempio, Tuttosport che poi reca in calce l’omaggio che hai ricevuto da chi ti aveva conosciuto: “Il capitano dei bianconeri, Giorgio Chiellini, gli ha dedicato un tweet: “Ciao Peppino, ci mancherai”. Lo stesso ha fatto Gianluigi Buffon: “Stanotte ci ha lasciato Giuseppe Rizza. Alla sua famiglia va tutto il mio cordoglio e la mia vicinanza”. Dopo essere cresciuto nel settore giovanile della Juve, giocando anche insieme a Marchisio, Rizza aveva vestito le maglie di Rosolini, Livorno, Arezzo, Pergocrema, Juve Stabia e Nocerina. La sua ultima squadra, quella con la quale era tesserato attualmente, è stata la Rinascita Netina , squadra siciliana di Prima Categoria”.
Perché è così che funziona. Il pallone non ti dimentica e tu non lo dimentichi. Anche se non vinci il Mondiale, ti rimane nel sangue, ti spinge a giocare con gli sguardi nelle vicinanze di un muro, come se fosse lì. Prima il destro, poi il sinistro. Palleggia dai! Ogni giocatore che abbia calcato i campetti in cemento o il ‘Santiago Bernabeu di Madrid’ convive con quel suono dell’infanzia, il ‘plop’ del pallone passato al muro, con il muro che te lo ridà. Perfino il campione più celebrato non dimenticherà mai l’odore del primo campo vicino casa e quella partita vinta all’ultimo respiro, mentre calava la sera.
E chi dimentica la corsa sulla fascia, il cross, il colpo di testa? Se sei stato dentro un film, pure solo della fantasia, come Pelè, se hai osservato un altro, pensando che poteva somigliare a te, in un televisore in bianco e nero con ‘l’effetto neve’, se hai chiuso gli occhi ogni volta che irrompeva la voce di Nando Martellini o il timbro di Bruno Pizzul, se hai fatto volare il vaso cinese della nonna, per un gol, sei già un immortale posizionato sul rettangolo più immenso e più verde che c’è.
Hai visto Giuseppe che gli amici chiamano Peppino?
Hai visto quanti ti amano e ti cercano, sventolando una bandiera con la tua faccia sorridente stampata su? I personaggi. E le persone.
Sì, la notte è calata sull’ultima partita. Ma c’è sempre la felicità di averla giocata, di avere alzato le braccia al cielo. E il cielo non dimentica le braccia alzate degli uomini. Facci un gol, Peppino, corri. E sorridi ancora una volta. Ovunque tu sia.