PALERMO – Le accuse dell’imprenditore? “Era risentito nei miei confronti”. Il pentito che lo tira in ballo? “Ma chi lo conosce”. Il boss a cui diede dei soldi? “Non sapevo che fosse mafioso, mi diceva che non poteva campare e gli pagavo sigarette e caffè”.
Giuseppe Faraone non ci sta a passare per mediatore del pizzo e amico dei mafiosi. Risponde alle domande dei suoi avvocati, Marina Cassarà ed Anthony De Lisi, e del Tribunale che lo sta processando assieme a boss e gregari dei clan di Resuttana e San Lorenzo. Scoppia in lacrime ripensando ai ventidue mesi trascorsi agli arresti domiciliari. Durante l’esame si parla spesso di politica. Riferimenti inevitabili visto che Faraone è stato assessore alla Provincia e consigliere comunale. Eletto nel 2012 nella lista Amo Palermo, poi è transitato nel gruppo Megafono-Drs. Faraone tentò nello stesso anche la corsa all’Ars nella lista del presidente della Regione, Rosario Crocetta. Fu il primo dei non eletti.
Le accuse dell’imprenditore
L’inchiesta a suo carico si fonda sulle intercettazioni telefoniche e sulla denuncia di Antonino Arnone, un imprenditore che il politico avrebbe messo in contatto con il boss che pretendeva la messa a posto dell’azienda. “Messa a posto? – risponde accorato Faraone – queste parole mi fanno schifo, non so neanche cosa significhino. Io ho sempre e solo chiesto sostegno elettorale”. Perché mai allora Arnone, titolare di un’impresa di segnaletica stradale, avrebbe dovuto accusarlo? “Non me lo spiego, avevamo rapporti ottimi fino al giorno dell’articolo”. Il riferimento è alla notizia sul coinvolgimento di Faraone pubblicata su Livesicilia.it nel giugno 2014. In realtà Faraone ha un’idea precisa sui fatti: “Arnone era risentito, infastidito”. Da cosa? Dal polverone mediatico che aveva sollevato la revoca di una commessa all’impresa di Arnone. Una revoca di cui Faraone rivendica la paternità quando era vice presidente del Consorzio autostrade siciliane, assieme all’allora presidente Patrizia Valenti: “Mi feci fare una relazione e ci siamo accorti che nella galleria dell’autostrada non c’erano problemi strutturali. E così è stato revocato un incarico alla Siess (l’azienda di Arnone, ndr) da 44 mila euro netti ogni quindici giorni. Gli articoli di giornale parlavano di lavori costati un milione e duecento mila euro”. Arrone si sarebbe anche infastidito per la “revoca di un finanziamento da parte dell’assessorato regionale alle Attività produttive”.
Per il resto Faraone conferma di avere ottenuto appoggio elettorale da Arnone che avrebbe anche voluto mettere mano al portafogli. Faraone, però, lo avrebbe stoppato: “Una volta passò, era col Suv, e tirò fuori una busta dalle calze. Mi disse ‘tieni questi sono per la picciuttedda’. L’ho lasciato in asso e me ne sono andato, non so neanche il contenuto della busta. Immagino che serviva per organizzare qualche manifestazione”.
Faraone si spendeva per sé, quando si candidava in prima persona, ma anche per gli altri. Come quando “abbiamo sostenuto il senatore Beppe Lumia e quando Lumia ha fatto votare Michela Stancheris”. La picciuttedda di cui parlava Arnone, secondo Faraone, era proprio l’ex segretaria di Rosario Crocetta ed ex assessore regionale al Turismo, candidata con il Pd alle elezioni europee: “Mi sono confrontato con Lumia. Gli chiesi come mi dovevo comportare se qualcuno, come Arnone, si voleva mettere a disposizione”. Doveva o meno prendere soldi? La risposta di Lumia fu secca: “MI disse no, assolutamente no”.
I rapporti con il boss
Nelle conversazioni intercettate dell’inchiesta Apocalisse faceva capolino il nome di Faraone. Ne parlava Francesco D’Alessandro, tornato in manette nel 2014 dopo avere finito di scontare una precedente condanna. D’Alessandro sosteneva di essere andato a trovare il politico negli uffici della Commissione urbanistica del Comune: “Non è vero, l’ho incontrato al bar. Lo conoscevo da ragazzino. Mi sembrava un pensionato, mi parlava di problemi economici. Gli compravo le sigarette, il caffè. Maledetto quando gli ho offerto la prima volta il caffè. Una volta mi ha chiamato e gli ho lasciato cinquanta euro dal fruttivendolo, mi diceva che non poteva vivere. Se avessi saputo chi era neanche dalla strada sarei passato”.
Le accuse del pentito
Giovanni Vitale, il neo pentito del clan di Resuttana, ha riconosciuto Faraone in foto. Di lui ha detto che si trattava di un soggetto che chiedeva soldi per via di alcuni debiti. Lo avrebbe incontrato assieme a Giuseppe Fricano, allora reggente del mandamento del clan. “Non lo conosco – attacca Faraone -, mai visto. Io problemi economici? Ringraziando Dio non ne ho mai avuti. Mai un debito. Uno arriva e dice che mi conosce… lui, Fricano o come cavolo si chiama. Mettetemi a confronto con queste persone. Portateli in aula”.
Una manciata di voti
Infine Fraone torna a parlare di preferenze elettorali. Per sgombrare il campo dal sospetto che possa avere ricevuto l’appoggio del clan mafioso il politico, con lungo passato di funzionario dell’Esa, l’Ente per lo sviluppo agricolo, snocciola cifre: “Alle comunali ho preso trecento voti da Pallavicino a viale Strasburgo. Alle regionali ho preso mille e 300 voti in tutta la città… in una sezione manco ho preso i voti di mia sorella che ha sbagliato. C’ero Faraone io, con il Megafono e Faraone l’altro, Davide, con il Pd”.