Di questi tempi è di moda scrivere lettere. Specialmente alle persone di rilievo. Anche noi non abbiamo rinunciato al costume dello scrivano pubblico, quando se n’è presentata l’occasione. Per esempio, la nostra letterina al Presidente Napolitano la vergammo – e non ci fu bisogno di inviarla, per lo scopo raggiunto – in occasione del caso Cardella: la storia di una detenzione accompagnata da una tremenda vicenda familiare.
Ma oggi, nel giorno in cui il Capo dello Stato viene a Palermo, non siamo tentati di non mandare lettere e nemmeno cartoline. Non celebreremo con la retorica l’evento, pur importantissimo. E mica per spirito di contraddizione, o per sottovalutare la visita, o per recare offesa a una figura che profondamente rispettiamo per la sacralità laica dell’istituzione repubblicana che rappresenta e per la statura del galantuomo che le dà sostanza.
E’ che abbiamo presente il triste finale, dopo la bella favola che ci racconteranno in due giorni di avverbi e di aggettivi esagitati. Sappiamo che il Presidente andrà via e che Palermo rimarrà com’è: immersa nel suo disastro. Ovviamente, tra oggi e domani, le istituzioni che governano la città si daranno da fare per rendere il cadavere almeno digeribile. Toglieranno la munnizza dai percorsi presidenziali. Si esibiranno in una lustrata all’asfalto. Suggerimenti: importiamo qualche netturbino svizzero sorridente, ma gli si intimi di non aprire bocca, altrimenti si capirebbe l’inghippo. E togliamo i clochard dai marciapiedi, non sta bene. Per due giorni non si potrebbe trovare una casa a Giuseppe Cioffi che dorme alla stazione, in un igloo di carta, con moglie e figlia disabile?
Vabbè, la letterina la stiamo scrivendo perfino noi. Cediamo. Però è diversa dalle altre. Caro Presidente, non fidarti. La città che conoscerai non esiste. E’ un set cinematografico, pensato per non sfigurare troppo. Non stringere con eccessiva cordialità la mano ai reucci siciliani che ti sfileranno davanti in ossequiosa parata. Sono i principali responsabili dello sfascio a te invisibile. Caro Presidente, potresti evadere, infrangendo il protocollo, mimetizzarti dietro un sacchetto di calia e semenza e liberamente circolare. Non ci sarà nemmeno bisogno di andare allo Zen per aprire gli occhi. Siamo disperati ovunque. Certo, sarà una fuga difficile la tua. Ti sorveglieranno per impedirtela, con l’alibi della sicurezza. Non la permetteranno. Il rimedio? L’antidoto? Dovremmo recapitarti l’ultimo mese di rassegna stampa con un piccione robusto. Magari puoi riuscire da solo nella ricerca impervia della verità. Chiedi al corteo di fermarsi in un bar, inventando un’improvvisa necessità. Entra e scruta i volti dei palermitani presenti, quelli veri, non i dignitari da operetta che ti soffocheranno. Basta un viso a piacere. Capirai tutto. Proprio tutto.