CATANIA – Tutto vestito di nero. Tuta, cappello e infrandito. E’ uno dei 110 migranti arrivati alle 9 al porto di Catania. Si appoggia a una delle transenne e scruta, in attesa di essere anche lui visitato dagli operatori del presidio medico. Non ha nessuna paura dei microfoni: “Siamo palestinesi, siriani ed egiziani – accenna in italiano – non vogliamo rimanere qui, ma andare in Germania e Francia”. Una volta accesa la telecamera aggiunge: “E’ da quattro giorni che non mangiamo e non beviamo”. Pochi secondi e le forze dell’ordine ci fanno allontanare.
Versioni diverse. Al molo di Mezzogiorno del Porto di Catania c’è un’aria diversa rispetto agli altri sbarchi che si sono registrati ad Agosto. Non c’è diffidenza, anzi c’è voglia di comunicare. Alcuni di loro conoscono l’italiano, altri tentano di comunicare in inglese. Più versioni si accavallano: “Navighiamo da 6 giorni”, un giovanissimo: “Four days” (quattro giorni). La verità è difficile da carpire. La certezza è che gli occhi affannati e stanchi sono illuminati dal sorriso di chi è “riuscito a salvarsi”. Sono scappati, forse, consapevoli dei rischi di questa traversata, ma i loro piedi hanno toccato terra. Sono sopravvissuti. Anche Giacomo Maiorana, maresciallo capo della Gruppo aeronoavale della Guardia di Finanza di Messina parla di “piccolo miracolo, di una tragedia quasi sfiorata”. Un ritardo di qualche ora avrebbe portato a un altro epilogo.
Sono affamati e assettati. Una condizione riscontrata anche dai militari delle fiamme gialle che in barca hanno trovato solo bottiglie di acqua vuote. Non riescono ad aspettare tanto che ci sono stati piccoli momenti di tensione anche nel momento della distribuzione delle bevande. Iniziano a spogliarsi, strati di magliette, una dopo l’altra, prima di mettersi gli indumenti puliti offerti dai soccorritori. “E’ necessario coprirsi per la traversata – racconta un operatore – sono preparati per ogni evenienza”.
Tutti ragazzi. 110 e tutti di sesso maschile, la maggior parte adolescenti dai 16 ai 18 anni. C’è anche qualche bambino tra di loro. “Stiamo provvedendo a portare anche qualche giocattolo – ci confida un volontario – così possiamo farli stare tranquilli”.
L’allegria per un po’ di tabacco. Cercano il contatto e anche se non parlano l’italiano cercano di farsi capire con l’universale linguaggio dei gesti. Due dita portate alla bocca: segno inconfondibile per una sigaretta. Una persona si avvicina e regala a due giovani l’intera confezione di tabacco con tanto di filtri e cartine. E’ festa. Prima abbracciano l’italiano urlando “grazie, grazie” e poi tra di loro. Soli in un paese straniero, lontano da casa, senza sapere quale sarà il loro futuro, una sigaretta diventa il più prezioso dei tesori.