PALERMO – È una storia di morte e disagio sociale. Una storia dove persino un post su Facebook può scatenare la vendetta. E così lo zio si arma e ammazza il nipote a colpi di pistola.
È stato fissato il 22 maggio la requisitoria del processo per l’omicidio di Dino Salvato, 29 anni, assassinato un anno fa a Palermo. Alfonso Vela confessò il delitto agli agenti della Squadra mobile. Si giocherà la carta della legittima difesa. Fu costretto a sparare, altrimenti sarebbe stato il nipote ad ucciderlo. Una versione che, secondo la Procura, non regge. Sotto accusa, ma solo per favoreggiamento, c’è anche Emanuele Marino, genero di Vela.
Zio e nipote raccoglievano il ferro vecchio abbandonato per le strade o gettato nei cassonetti della spazzatura. Un lavoro duro, scandito da continui screzi per motivi economici. La mattina del delitto Salvato postò sulla sua pagina Facebook il link con un articolo che ricostruiva il sequestro del mezzo usato da Vela per trasportare i rottami.
Forse aveva pensato che il nipote avesse fatto la spia, oppure si era sentito preso in giro. E così Vela andò ad affrontarlo. Volarono parole grosse e insulti. Il peggio sarebbe avvenuto poche ore dopo, quando Vela e Salvato si incontrarono in fondo Picone, nei pressi di via Decollati, a pochi passi dalla missione “Speranza e carità”.
I due colpi di pistola non lasciarono scampo a Salvato, i cui parenti si sono costituiti parte civile al processo con l’assistenza degli avvocati Alberto Raffadale, Pierfrancesco Cascio e Rodolfo Calandra. Vela, però, ha riferito che fu Salvato a presentarsi armato e che lui gli strappò la pistola per difendersi.