CATANIA – È considerato fra i maggiori violinisti del nostro tempo. Ma non solo. Perché Uto Ughi, oltre che per un eccezionale talento artistico, si è distinto – come pochi – per un carisma innato nella veste di concertista consacrato alla divulgazione culturale. Sono queste le qualità che più di altre lo hanno reso un mito nel panorama musicale internazionale. Uto Ughi, 74 anni, si esibirà domani sera dal vivo per inaugurare il cartellone estivo del teatro Massimo Bellini di Catania. Con lui sarà protagonista l’orchestra dell’ente lirico e il direttore Salvatore Percacciolo. Il concerto è in programma nell’arena millenaria del teatro antico etneo, salvo cambiamenti dell’ultimo minuto. Il maltempo previsto per domani sera potrebbe infatti spingere la direzione a spostare lo spettacolo al chiuso al teatro Bellini. Ughi intanto, arrivato ieri a Catania, è immerso nelle prove. Ma si concede generosamente per un’intervista. Ed è un fiume in piena fra passione, lotta e fervore di pensieri.
E per prima cosa parliamo proprio di Catania. “La città di Catania – racconta Ughi a LiveSicilia – è un punto di riferimento importante per me sia perché ha dato i natali al compositore Bellini, e sia per quel meraviglioso teatro che avete. E poi c’è un’ottima orchestra al teatro Bellini con cui collaboro da una vita, già da quando avevo 18 anni. È un rapporto molto amichevole e intenso”.
Ughi ha iniziato a suonare da piccolissimo, sei o sette anni. Fra i nove e i tredici anni era già allievo a Parigi di George Enescu. Poi arrivano Ginevra e la scuola Chigiana di Siena. La sua consacrazione risale al 1967, quando esegue il concerto per violino di Beethoven nel cortile di Palazzo Ducale di Venezia. Da lì l’avvio ad una carriera brillante che lo ha visto esibirsi nei più importanti teatri del mondo. Suo padre, un avvocato istriano, gli regalò uno Stradivari Van Houten-Kreutzer. E possiede anche un Guarneri del Gesù del 1744. Due strumenti dal valore inestimabile. Per il concerto di domani sera utilizzerà proprio il Guarneri. Lo spettacolo prevede l’esecuzione delle più celebri e amate composizioni di Čaikovskij. “È uno dei concerti romantici più conosciuti per violino – spiega il maestro . È stato uno dei più grandi musicisti dell’800 e amava moltissimo l’Italia. Visse anche Firenze. Era un autore che pur conservando molto la sua identità russa, amava viaggiare”.
Ughi – come accennato – è uno spargitore d’arte noto per le sue doti d’intrattenitore. Il suo obiettivo è sempre stato quello di avvicinare il pubblico, specie le giovani generazioni, alla musica classica, “ma purtroppo con scarsi risultati – afferma – Nelle scuole non è prevista l’educazione musicale. La cultura italiana si limita alla letteratura e all’arte. Le discipline umanistiche non contemplano la musica. Ed è una lacuna molto grave per il paese più musicale di Europa. L’Italia ha insegnato la musica a tutti, ai russi ai tedeschi. Di recente ho scritto una lettera al Corriere della Sera rivolta al neo ministro esortandolo a fare qualcosa affinché l’Italia non diventi il fanalino di coda dell’Europa, ma rimanga invece un paese faro guida”. Di suo il maestro ha ideato la formula della “lezione concerto”, conducendo anche un format su Rai1. “Cerco d’illustrare i pezzi che eseguo, dando qualche piccola informazione storica ed estetica in modo che il pubblico ascolti con maggiore attenzione e consapevolezza i brani”.
Ma si dispiace comunque nel constatare come spesso la musica classica non sia adeguatamente valorizzata. Una mancanza da colmare, perché “la musica aiuta – dice – a pensare autonomamente. È al di là delle ideologie politiche, e anche dalle lingue. Čaikovskij era russo ma è compreso con la stessa intensità a Parigi, Catania o Vienna”. E poi c’è un sottile rammarico, perché quello attuale “è un momento disastroso per la musica, perché i giovani qui hanno pochi sbocchi di lavoro e devono andare fuori. Le orchestre si sono assottigliate. Prima la Rai ne aveva quattro”. E proprio pensando ai giovani talenti rivolge loro un pensiero affinché non si scoraggino, “Oggi purtroppo in Italia – spiega Ughi – occorre stringere i denti, lavorare anche con ideale, sperando in un futuro migliore. Ma un futuro migliore dobbiamo costruirlo noi e soprattutto deve farlo chi ha in mano le istituzioni”. La crisi dei teatri è in primis il segno più tangibile delle difficoltà dei tempi. Un tema su cui il maestro ha le idee chiare: “I teatri chiudono – dice – anche perché sono state gestite male e in maniera non oculata e consapevole le risorse. Parlo ovviamente in generale. Senza muovere alcuna accusa in particolare. Ma i governi forse hanno messo nelle mani sbagliate questi i teatri”, conclude Uto Ughi.
Ph: utoughi.com