Incontrando da qualche parte Ficarra e Picone, si scopre che sono persone normali e palermitani atipici. Non montano sopra scalini di superbia, come suole per i conterranei che hanno fatto – meritoriamente – fortuna. Non fanno finta di non sapere chi sei. Non cedono al gioco delle occhiate, per cui se guardi il vip e lo riconosci, lui ti riguarda con degnazione: no, loro guardano per primi e magari (anche) per primi salutano.
Questa è la premessa. Segue la sostanza: Salvo e Valentino – palermitani e siciliani atipici per nostra grazia ricevuta – sono tra gli ultimi poeti rimasti, nel loro quadrato nobile di humor e cervello. Ed è una circostanza rara conoscere un poeta nel momento in cui vive, rendersi conto che non c’è bisogno di addobbarlo con la penna di Dante, la gobba di Leopardi, la polvere dei libri antichi, per sentirlo vicino. Qui ce ne sono addirittura due. E se qualcuno storcerà il naso, perché un vate può essere tale solo da defunto – quanti danni ha provocato in cecità e sordità la maledizione scolastica del trapassato – proveremo umilmente a spiegargli che ha torto.
Quando il presente elogio fu pensato – qualche anno fa, per gratitudine nei confronti della levità e dell’intelligenza – mancava al suo autore la consapevolezza piena della poesia di cui si parla. E’ arrivata, una sera, a teatro. Si dava – al ‘Biondo’ di Palermo – ‘Buttanissima Sicilia’, enciclopedia acuminata dei mali che ci affliggono, scritta da Pietrangelo Buttafuoco, materializzata per il palcoscenico da Peppino Sottile. A un certo punto dello spettacolo, quando risate e amarezza avevano condotto lo spettatore sul sentiero stretto di uno stato d’animo difficile, Salvo Piparo – mirabilissimo teatrante – iniziò a sussurrare un racconto di Salvo e Valentino, cucito sull’occasione.
Era la storia malinconica della terra siciliana che si ritirava dalla sua gente, che andava via, che spariva per sdegno, strappando strade, case e montagne. Una sintesi dell’apocalisse, col dono della profezia, visto che il famoso viadotto non era ancora crollato. Era, appunto, malinconia purissima. Che diventava tristezza. Che si scioglieva in pianto. Ma, di fianco alla pena, arieggiava una cristalleria di parole e immagini che fungevano da contrappasso, da sollievo. La bruttezza riscattata dalla bellezza. Non è forse poesia? Fu naturale tornare a casa e rivedere qualche film alla luce della rilettura. Non è forse poesia – di vicolo, di osteria, dei cenacoli che sfoggiano letteratura – il ghigno di Tony Sperandeo che – ne ‘Il sette e l’otto’ – rimescola le posizioni dei nostri eroi, scambiati per disavventura e malizia alla nascita, poi sussurra: “Tuttapposto”. Infine, crolla sul divano, prorompendo: “Tuttapposto a’ minchia”. Non è poesia il timbro di Pino Caruso che spiega da quali fili possa essere resa inestricabile una matassa? Lo è. Come era poesia quel racconto in calce a ‘Buttanissima’.
Valentino e Salvo posseggono, oltretutto, il dono della familiarità che è l’assoluto ingrediente dell’arte. Ciascuno dei due avrebbe potuto figurare da compagno di scuola di tutti. Salvo, lo studente comico, sicuro nello sberleffo e nello scherzo, temerario al cospetto della prof di matematica, inarrivabile a calcetto, abbondante nelle conquiste, con un fondo di affetto dietro la maschera giullaresca. Valentino, colui che per abbaglio si innamorava della ragazza del primo banco – “La più carina, la più cretina” – però poi trovava l’amore giusto. Senza avere, nel frattempo, mai smesso di sognare e di scrivere bigliettini, sotto lo sguardo grifagno della medesima prof di matematica.
Poeti, dunque e generosi, come dimostra la partita del cuore organizzata per regalare una Tac all’Ospedale dei bambini. Generosi, ancora, nel convocare nei canovacci dei loro film i bravissimi sopravvissuti – alcuni fortunati, altri non – di una giungla conterranea di attori che meritano anch’essi plauso e riconoscenza. Poeti, dunque rigorosi, nel raccontare un’Isola verace.
E qui è necessario aprire una dolente parentesi. Sono afflitti – coloro che conservano occhi e cuore – da una riduzione pigra dello spazio e dei tempi che ci riguardano, da un calco di piovra – una formina da lido del luogo comune – che modella a sua immagine e somiglianza ogni cosa. E non che non ci sia da indignarsi, da soffrire, da combattere per la regione impiovrata, disperata, malgovernata. Tuttavia, stridono ormai con la sensibilità di tanti il resoconto compiaciuto del male, la retorica grondante sangue, la mafiologia applicata pure agli angeli, la coppola calzata a soffocare tutto. Né incantano i maldestri tentativi in direzione contraria, che puntano sulla risatina per scuotere il lutto dalle vesti, aggiungendo sabbia al deserto. Ed è opportuno citare, a riguardo, il caso di scuola: ‘La mafia uccide solo d’estate’ di Pif, che, con molta buona volontà e parecchie strizzatine d’occhio al marketing, ha servito la bevanda di un’opera tanto pretenziosa, quanto inconsistente, scambiando leggerezza e vacuità.
Salvo e Valentino, Valentino e Salvo, fanno altro. Per ogni dolore chiuso nella sua noce offrono uno scalpellino, un foro nel muro, un cielo sempre disponibile. Per ogni Sicilia irredenta, inventano la redenzione della scrittura. Non a caso, il mirabile Piparo, in una chiacchierata, ne spiegò così l’unicità: “Entrambi sanno costruire case robustissime che addobbano con splendide finestre”. Certe parole corrono a salvarti ovunque. E danno respiro a certe stanze della vita, chiuse a chiave, senza nemmeno un balconcino infiorato.