È un attacco frontale alla politica. Anzi, alla mancanza di etica nella politica. Le parole del pubblico ministero Maurizio Agnello sono rivolte a quel “terzo di parlamentari indagati” che siede sugli scranni dell’Ars. Contro di loro il pm tuona parlando di una “politica che si specchia nelle raccomandazioni e non nel diritto. Che sperpera il denaro pubblico, assumendo una giornalista raccomandata”.
Il processo è quello che vede imputati due politici, Filippo Drago e Fabio Mancuso. Sono accusati di estorsione ai danni della giornalista Elena Giordano. Per loro il pubblico ministero ha chiesto l’assoluzione, ma ha chiesto pure ai giudici di valutare la possibilità di mandare gli atti alla Procura per vagliare la posizione della Giordano e di una sua amica che avrebbero reso falsa testimonianza. Una cosa è lo squallore di certa classe politica, un’altra le prove per arrivare ad una condanna davanti ad un tribunale. “Non è un caso che la vicenda sia avvenuta all’Ars – ha però detto il pm – dove un terzo dei deputati è inquisito o imputato”. Per trovare conferme alle parole della pubblica accusa basta consultare il nostro indagometro.
La Giordano nel 2007 ha denunciato i due politici per estorsione. Drago e Mancuso all’epoca dei fatti facevano parte dei cosiddetti quarantenni dell’Udc che decisero di staccarsi dal partito per dare vita ad un autonomo gruppo parlamentare all’Ars. Gruppo dal quale la Giordano nel 2004 fu assunta come portavoce a tempo indeterminato. “Fu raccomandata a Fabio Mancuso da Filippo Drago – ha detto il pm – con il quale la Giordano si conosceva da tempo”. Nel 2006, però, i quarantenni tornarono sui loro passi. L’Udc si ricompattò e diede il benservito alla giornalista. La Giordano ha sostenuto che per lei era pronto un altro ufficio stampa alle dipendenze di un assessorato, ma il nuovo incarico sarebbe stato stoppato da Drago e Mancuso. Ai magistrati raccontò di una telefonata ricevuta dai due politici che l’avrebbero minacciata di “ammazzarla politicamente” se non avesse firmato una “liberatoria” per il precedente incarico. Una tesi smentita dalle nuove indagini disposte dal pm. Dai tabulati telefonici è risultato, infatti, che il giorno della presunta telefonata minatoria Drago e Mancuso si trovavano in due diversi posti della Sicilia. Uno a Palermo e l’altro in autostrada in direzione Catania. Da qui la richiesta di assoluzione. La sentenza è attesa per il 3 aprile.
Durante la requisitoria il pm Agnello ha ricordato l’episodio che ha coinvolto un altro deputato dell’Udc, Rudy Maira. Alla giornalista furono pagati 17 mila a titolo di transazione per chiudere la vertenza. “L’onorevole Maira in aula – ha detto il pm – ha sostenuto che non c’era alcun motivo per dare quei soldi alla giornalista, ma ha detto di averlo fatto per ragioni politiche. Per evitare nuovi contenziosi. D’altra parte – ha concluso il pm – i soldi non erano i suoi”.