PALERMO- “Dutturi, mi rassi a ricietta ca minnagghiri”. Il latore della per niente cortese richiesta è un ragazzino, arrivato al pronto soccorso di Villa Sofia con altri ragazzini come lui. Una piccola fascia dice che è sopravvissuto senza sforzo al trauma che l’ha condotto qui. E comunque la disavventura non gli impedisce di reclamare la ‘ricietta’ che spalanca le porte del ritorno a casa. Un altro, poco prima, aveva preso di mira l’agente di vigilanza, perché si era permesso di socchiudere la porta della shock room, mentre c’era in corso un delicato intervento. “Ma che mi chiudi la porta in faccia, ah!?”. E lui, l’addetto, si era messo a discutere, con pazienza infinita, per fronteggiare l’arroganza altrui, per non creare problemi ai degenti, invece di rispondere a muso duro: un esempio di professionalità, nella banalissima cronaca di una serata ‘normale’.
Il mondo da una barella assume una consistenza diversa, se passi una notte a Villa Sofia. E allora apprendi, perché lo vedi di persona, quanto sia difficile essere medici o infermieri, forse a Palermo e in Sicilia più che altrove; come sia complicato esercitare la professione dell’aiuto al prossimo, se il prossimo esercita una pressione insostenibile. I nodi si conoscono, ma non stringono di meno per questo. Il pronto soccorso è, di fatto, l’unico ingresso sempre disponibile di una sanità pubblica che subisce di continuo smantellamenti, ritardi e umiliazioni.
Ipertensione? Vai al pronto soccorso. Emicrania? Vai al pronto soccorso. Hai la febbre altissima? Vai al pronto soccorso. Ti duole un dito? Vai al pronto soccorso. Non hai i soldi per comprare i farmaci che curano una patologia cronica? Vai al pronto soccorso.
Così, nello stesso spazio, avvinte al medesimo disagio, si dibattono un’umanità soprattutto sofferente ed esasperata per i tempi lunghi dovuti all’ingolfamento, in qualche sua frangia dispotica e maleducata, e una squadra che tenta di raccogliere il mare con il secchiello bucherellato messo a disposizione.
E ci saranno pure, ovunque, stando a resoconti e lamentele generiche, medici approssimativi, infermieri scostanti, personale incapace di comprendere il senso della sua stessa essenza; ma, in questa notte a Villa Sofia, come è accaduto in altre notti, ci sono soltanto persone preparate, appassionate, che si sbracciano per arrivare all’alba nel migliore dei modi possibili. Del resto, il primario, il dottore Aurelio Puleo, è uno che crede nella sua missione, con i collaboratori che lo circondano.
C’è il medico della shock room che moltiplica se stesso, come i pani e i pesci di un celebre racconto. Guarda la radiografia, chiede gli esami del sangue al telefono, cura l’omone sofferente nella lettiga, si occupa del prelievo all’altro omone nella sedia, risponde alla ragazza che entra ogni cinque minuti e domanda: “Dutturi, è pronta l’ecografia di mia zia?”. C’è l’infermiera che ha un sorriso per tutti, nonostante, sia stata colpita di recente da un terribile evento. Eppure, non molla di un centimetro, con una dignità che la rende preziosa. C’è il signore delle pulizie, bassa statura, magrolino, capelli sale e pepe, che non si ferma un attimo. Spazza, ramazza, si occupa dei bagni. Pausa breve. Ramazza, spazza, si occupa dei bagni. Pausa breve. Si occupa dei bagni, spazza, ramazza…
Questa è l’immagine forse più autentica della nostra sanità, al netto di errori, legittime osservazioni, omissioni e responsabilità: una zattera alla deriva, non per colpa di chi ci lavora, nel silenzio di chi dovrebbe provvedere. Un miracolo quotidiano che si realizza per l’abnegazione dei singoli. Magari, chissà, i politici che organizzano la parata di periodiche ispezioni potrebbero dare una mano. Come? Ripensandola.
C’è tanto altro che si annota. La moglie che regge il marito con un brutto male. Lui non vuole stare seduto. Lei lo accompagna, passo dopo passo. E, ad ogni passo, cadono lacrime pudicamente celate. La ragazza che prega sulla sedia, a mani giunte, per un parente.
Pezzi di vite accatastati a fatica nel calderone di una notte a Villa Sofia. Sopra una barella tutte le stupide complicazioni che regaliamo al nostro cammino svaniscono. Le cose importanti si manifestano con brutale chiarezza. Ed è perfino possibile deporre qualche grammo di ferocia e volersi bene.