PALERMO – L’immagine dell’Ars assediata dai forestali disperati, mentre il presidente della Regione è impegnato nel suo viaggio in Tunisia, è una sorta di emblematica allegoria della politica siciliana degli ultimi anni. La politica prigioniera della sua cattiva coscienza, messa in ginocchio dalla scellerata gestione che negli anni ha reso la Regione un mastodontico stipendificio, un erogatore di ammortizzatori sociali travestiti da salari, ingrassati a dismisura in una logica assistenziale e di clientela di massa fuori controllo. I nodi ora vengono al pettine.
E come spesso accade, i primi a pagare il prezzo del disastro sono gli ultimi, gli operai della forestale che disperati si sono ritrovati a rischio appiedamento. E fuori da ogni regola hanno messo in atto proteste clamorose come quella che ha paralizzato la città di Palermo o la strada alternativa alla Palermo-Catania. Proteste che non aiutano a conquistare il sostegno di un’opinione pubblica che ha sempre guardato all’esercito dei forestali come a un emblema dello spreco. Anche alla luce, per esempio, delle inchieste, non solo giornalistiche, sul fenomeno del doppio lavoro tra gli stessi operai. Un’attitudine, quella dell’opinione pubblica, che probabilmente non migliorerà alla luce delle proteste al di là di ogni norma, che hanno calpestato i diritti di tanti. E che, come accaduto in passato per altre affollate categorie di precari, sono servite da ricatto (o moral suasion?) per la classe politica, che ha tolto ancora una volta fondi ad altre voci (a danno di altri siciliani meno adusi a bloccare strade) per garantire l’elargizione.
Abbiamo assistito alla frenetica ricerca da parte dell’Ars di somme che in qualche modo potessero risolvere il problema (aspettando la delibera Cipe che destinerà ai forestali somme stanziate in origine per le infrastrutture), una ricerca in colpevole ritardo, con la pistola della protesta alla tempia, che racconta l’emergenza ormai tragica in cui la Sicilia si ritrova per i suoi conti boccheggianti. E questo rischia di essere solo l’antipasto. Perché tutti, governo in testa, hanno ben chiaro che l’anno prossimo i problemi saranno ancora più insormontabili, a meno che non si trovi una complicatissima quadra con Roma.
La politica prigioniera di se stessa e delle sue scelte, asserragliata a Palazzo dei Normanni, è un’immagine potente del fallimento di un sistema socio-economico insostenibile. Così come lo è l’immagine del presidente della Regione che invia email dall’altra sponda del Mediterraneo, quando servirebbe, una volta tanto, qui. L’assenza di Crocetta per l’improrogabile e fondamentale missione nell’amata Tunisia è un’altra potente allegoria, quella dell’assenza di una politica in grado di affrontare e risolvere i problemi. Che, è ovvio, non sono certo figli del crocettismo ma affondano le radici in decenni di scelleratezza. Ma che hanno avuto nel crocettismo non la cura ma il colpo di grazia. Leggere di un presidente che dice di essere “in permanente contatto con il vicepresidente Lo Bello, il ragioniere generale Sammartano, il capogruppo Cracolici” (il capogruppo Cracolici? E perché?) lascia basiti.
Su queste macerie sabato dovrebbe nascere (il condizionale è quanto mai d’obbligo) la nuova giunta di governo. La quarta in tre anni. Crocetta ha spiegato che la giunta dovrà “affrontare i problemi della Sicilia”. Perché, le tre precedenti a cosa dovevano servire?