PALERMO – Il putiferio esplode pochi minuti dopo che il presidente del Tribunale ha finito di leggere il verdetto. Giovanni Rao e Maurizio Lucchese vengono condannati rispettivamente a sette anni e otto mesi e a sei anni e otto mesi per la tentata estorsione allo chef Natale Giunta. Fuori dall’aula, al secondo piano del Palazzo di Giustizia, si ripete una scena già vista. Urla, spintoni, donne svenute. Esplode la rabbia dei parenti degli imputati per una sentenza che definiscono ingiusta. Lo gridano. Scaricano su Giunta, l’uomo che ha puntato il dito contro i suoi presunti estorsori, e sul Tribunale tutta la rabbia che hanno accumulato nell’attesa della sentenza. Una trentina di carabinieri, preparati alla reazione, contengono la piccola folla. La accompagnano, a tratti a fatica, verso l’uscita. Lungo le scale volano ancora insulti e parole grosse.
Viene ristabilita la calma. E si analizza il verdetto emesso dal collegio presieduto da Vincenzina Massa che è andato oltre la condanna a sette anni e quattro mesi per Rao e a sei anni e quattro mesi per Lucchese invocata dal pubblico ministero Caterina Malagoli. A nulla sono servite le appassionate arringhe difensive degli avvocati Giovanni Castronovo, Nico Riccobene e Vincenzo Giambruno. I legali scuotono la testa. Rispettano la sentenza, ma dissentono, come hanno sempre fatto, dalla ricostruzione della Procura e dalle accuse di Giunta che, a loro dire, erano lacunose e in alcuni punti contraddittorie. Specie nel riconoscimento di Rao. Giunta aveva parlato di un uomo più basso rispetto all’altezza dell’imputato del quale, secondo i difensori, non avrebbe focalizzato alcune caratteristiche: gli mancano dei denti, è strabico e non ha una falange della mano.
Gli imputati rispondevano tentata estorsione, minacce e danneggiamenti. Le richieste di denaro sarebbero avvenute nel 2012, quando Giunta gestiva la società di catering Ng Service. Il noto chef decise di non piegarsi al racket e si rivolse alle associazione Libero Futuro e Addiopizzo. In abbreviato, per la stessa vicenda sono processati Antonino Ciresi, Alfredo Perricone e Giuseppe Battaglia.
Sono state, dunque, le denunce di Giunta a fare scattare le manette per tutti e cinque gli imputati accusati di avere preso parte al tentativo di vessare l’imprenditore. Prima le telefonate. Poi, un’escalation di intimidazioni. Infine, la richiesta estorsiva: duemila euro a Pasqua e altrettanti a Natale per avere la “pace assoluta”. Giunta, senza esitazione alcuna, ha riconosciuto gli imputati durante la fase delle indagini. Poi, contro di loro ha puntato il dito in aula. Aula dove è stato pure messo a confronto con Maurizio Lucchese, ribadendo che da lui era arrivata la richiesta di incontrare “alcuni amici”.
Ecco la ricostruzione dei carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo che ha retto al vaglio del giudice. Il 3 marzo 2012 il telefono del ristoratore squilla. All’altro capo della cornetta c’è un tale Maurizio. In passato ha noleggiato le macchine agli sposi che si sono rivolti a Giunta per il catering. Ora chiede di potergli parlare. Alle 17 si presenta nell’ufficio di Giunta, in via Enrico Albanese. È in compagnia di un uomo anziano che, racconta lo chef, gli rimproverare di avere aperto una serie di attività senza alcuna autorizzazione. Per mettere le cose a posto bisogna pagare una cifra mensile. Alla conversazione partecipa un terzo uomo: 40 anni, basso di statura, capelli scuri e occhiali da vista spessi. Giunta non lo conosce, ma ricorda bene le sue parole: bisogna aiutare i detenuti che “la guardano in televisione”. Il riferimento è alle apparizioni di Giunta al programma Rai, la “Prova del cuoco”. Successivamente l’uomo sarà identificato in Giovanni Rao.
Cinque giorni dopo Giunta si presenta in caserma. Denuncia e riconosce in foto Maurizio Lucchese e Antonino Ciresi, settantenne con precedenti per mafia ed estorsione. Il 24 maggio 2012 gli estorsori alzano il tiro. Hanno lasciato un biglietto sul parabrezza della macchina di Giunta: “Mettiti apposto un fari u’ sbirru picchi ti finisci mali”. Il 27 novembre il ristorante ‘Sailem’ che Natale Giunta gestisce all’interno dell’area monumentale del Castello a Mare subisce un danneggiamento. Il 30 dicembre un metronotte trova una tanica di benzina e un accendino davanti all’ingresso del ristorante. Il 7 gennaio Giunta riceve la visita di Alfredo Perricone e Giuseppe Battaglia. Stavolta, però, sono state piazzate le microspie. Perricone spiega a Giunta che si deve mettere a posto: “A posto significa che praticamente qua dentro non verrà più nessuno perché praticamente siamo d’accordo tutti… due a Pasqua più due a Natale”. Perricone e Battaglia dicono di essersi attivati per risolvere la questione. Così Battaglia: “E’ da questa mattina che siamo là… cioè non ti lascio immaginare i retroscena”. Ed è sempre Battaglia a spiegare come ha fatto a sapere che Giunta ha denunciato il tentativo di estorsione: “… l’importante che non l’hai fatta nominativa da parte mia (la denuncia ndr) Questo lo ha detto l’amico mio… tutte cose sanno, Natale”. Ed ancora Perricone lo tranquillizza. Pagando si sarebbe risolto tutto: “A Pasqua a me, quando vuoi tu. Quelli di Natale a Natale. Ma significa la pace assoluta e ti levi questo pensiero davanti i coglioni”.
Ora si è arrivati alla condanna. Natale Giunta ha ottenuto un risarcimento danni. Così come le parti civili che si erano costituite. A cominciare dai comitati Addipizzo e Libero Futuro, assistiti dagli avvocati Ugo Forello, Salvatore Caradonna e Valerio D’Antoni.