Le lacrime dello Zen per Giuseppe - Live Sicilia

Le lacrime dello Zen per Giuseppe

Il funerale del 17enne vittima di un incidente
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Il cuore straziato dello Zen ha il suono di decine di moto che ruggiscono, di uno, due, venti applausi che si alzano verso il cielo, limpido sfondo da dove scende la bara bianca di Giuseppe. C’è tutto il quartiere, centinaia di persone affacciate alle finestre, ai balconi, in strada, per salutare un’ultima volta questo ragazzo di 17 anni (“era il colore, il sole, la vita”) che, nella notte tra lunedì e martedì scorsi, si è schiantato in viale dell’Olimpo. In segno di lutto non si svolge neanche il consueto mercatino rionale del giovedì. In compenso c’è la banda, che ha più riprese suona anche il Silenzio. Ci sono ragazzi (tanti ragazzi) che indossano magliette bianche con la foto del loro amico (‘u turcu, come lo chiamavano per via della carnagione scura). Ci sono fiori ovunque e poi lacrime, singhiozzi che in pochi riescono a trattenere. Eccolo il cuore dello Zen che pulsa, un fiume umano che si stringe attorno ad una famiglia distrutta, che accompagna una madre e un padre nella loro via crucis. Un’unità ed una solidarietà che forse oggi resistono ancora solo nei piccoli paesi di provincia, che ti fanno dimenticare i rifiuti, la puzza di fogna, la pelle decrepita delle insule, le carcasse d’auto, la miseria e la delinquenza.

“Giuseppe avrebbe voluto così – spiega Giuseppe Cusumano, un amico – ed è in questo modo che vogliamo salutarlo, tenerlo nei nostri cuori”. Insieme ad altri ragazzi ha organizzato questa cerimonia speciale. “La sera in cui è morto – continua – sono stato con lui fino alle 21. Ci stavamo organizzando per andare in moto a Bellolampo domenica…Non riesco a credere che non ci sia più”. Le moto da cross, la grande passione di Giuseppe Farina. Ne aveva una, arancione. Mezzi che sono come cavalli da domare, energia pura che bisogna saper controllare. Ed è difficile pensare che chi, come lui, sa maneggiare un bolide simile possa poi morire sbandando con un banalissimo scooter (“e non si dica che beveva o cose del genere, era un ragazzo apposto, fidanzato da un paio d’anni con Marina e voleva sposarla. Lavorava, aiutava i suoi genitori al negozio, al bar. Era apposto”, dice chi lo conosceva). Gli amici con cui condivideva la sua passione per ricordarlo si sono dati appuntamento stamattina alle 10 all’inizio di via Fausto Coppi, ognuno con la sua moto. A guidare quella di Giuseppe è Angelo (“un amico a cui la prestava spesso”). Tutti indossano la maglietta che ritrae il ragazzo (“un regalo della tipografia”). Arriva la banda (“faremo una colletta per pagarla”, dice Cusumano). Tutto è pronto per l’ultimo saluto: si riscaldano i motori, si dà gas. Piano e poi sempre più forte, fino a coprire qualsiasi altra cosa, finché l’odore di benzina non riempie l’aria. E si parte, verso la casa di Giuseppe. La strada è piena di gente che aspetta che la bara venga calata dall’ultimo piano di una delle insule. A terra c’è una scritta con lo gesso che ricorda come Giuseppe sia il numero uno, come lo Zen sia con lui. Nel palazzo di fronte qualcuno ha appeso uno striscione per dire che resterà sempre nei cuori di tutti. Risuona il Silenzio, si alzano una serie di applausi fortissimi ed arrivano anche le moto che aprono il corteo funebre. La bara viene portata a braccio da altri amici per le strade del quartiere. Sosta in via Carnera ed Agesia da Siracusa, entra nei cortili, si ferma, viene innalzata al cielo per raccogliere gli applausi dalle finestre.

Fa molto caldo e anche l’acqua arriva dal cielo, bottiglie calate con i cestini dalle insule. Il corteo impiega quasi due ore per raggiungere la chiesa di San Filippo Neri. Sono sempre i ragazzi ad assicurare l’ordine, creando un cordone che consenta al feretro di procedere. A tratti il dolore della madre squarcia il silenzio e la folla si stringe più forte, applaude, grida “Giuseppe, Giuseppe, viva Giuseppe” per darle coraggio. Davanti alla chiesa c’è altra gente che aspetta, ci sono decine di motorini schierati con dei palloncini bianchi attaccati ai manubri. La bara arriva a mezzogiorno ed al suo passaggio vengono tagliati i fili: il cielo si riempie di palloncini bianchi, spinti dal vento, che vanno a raggiungere, come viene spiegato ad una bambina, Giuseppe “nella sua nuova casa”.


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