Prima di decidere se un giornalista è bravo o non, se è uno di sostanza, o un millantatore di parole e storie, bisogna guardare le sue scarpe.
Siamo lettori che pretendono, innamorati della pietanza sfiziosa, cercatori dei resoconti del grande inviato che studia la guerra in tv. Eppure dovremmo rivolgere, sempre, un grato pensiero all’umile cronista che cammina per le strada in cerca di notizie: a colui che raccoglie volti e parole, dolore e gioia, e ne fa letteratura del quotidiano, al ritmo delle sue suole impolverate. Non sempre gli umili cronisti sono amati. Perché l’umiltà, in sé, non è mai considerata un utile accessorio del giornalismo. Si preferisce l’alterigia del fenomenale scopritore dell’America con le sue vanterie di scoop; e poco importa che l’America sia già stata scoperta.
Così, i semplici camminatori, talvolta, sono appena sopportati. Dai capi che sbuffano, alzando gli occhi al cielo, perché non apprezzano l’arte antica della verifica e della ricerca: ormai si spara subito tutto in rete e chi s’è visto, s’è visto. Dagli stessi lettori che non sono più abituati a una prosa piena di cose e di fatti, ma si lasciano irretire dall’affondo violento, dall’effetto speciale, dall’opinione, più che dal racconto. Dagli amici che non comprendono il motivo di tanto affannarsi e di tanto sudore. Però, a un vero cronista bastano un vero amico, una vera compagna di viaggio, un solo cammino, purché sia vero.
A questa nobile stirpe apparteneva lo scomparso Cosmo Di Carlo. “Oggi saluto questo collega e grande professionista. E lo ringrazio per le piccole e grandi lezioni, anche di umanità”, ha scritto di lui Giovanni Villino. E noi ci uniamo, con un abbraccio di affetto, nella memoria delle scarpe di Cosmo e della sua strada.