Pensieri, pensieri neri, pensieri a perdere, alla fine di una serata da dimenticare: il Palermo è naufragato sotto l’imperversare dello “tsunami” Napoli, perde 3-0 ed è un risultato che ci sta tutto, tale e tanto è il divario, di classe, tecnica, e disciplina tattica tra le due squadre. Ha appena fatto gol anche Cavani, il fuoriclasse uruguagio, che occupa il primo posto tra i tanti, forse troppi, rimpianti che mi rodono senza tregua l’anima di tifoso rosanero che alberga in me da sessant’anni: a cominciare – per dire solo dei più recenti – da Corini, regista e centro nevralgico del Palermo, tornato in serie A dopo 32 anni di serie C, serie B e vergogne varie (radiazione, penalizzazioni, debiti a go-go), per proseguire con Amauri, centravanti brasiliano che da solo faceva reparto, per finire, appunto, con lui, Cavani, quello che per i tifosi rosanero era buono “sulu a manciarisi i gol”. Ebbene Edinson ha appena segnato e neanche esulta per rispetto al suo pubblico di una volta; alza solo i due indici e lo sguardo al cielo e dice grazie con gli occhi. E per la prima volta nella partita mi capita di gettare un’occhiata verso il piccolo monitor piazzato davanti a me in tribuna stampa. Sono passati un paio di secondi – il tempo che trascorre tra la partita vera, che guardi coi tuoi occhi là dove si svolge, cioè allo stadio e quella che ti arriva fin dentro casa tua, seduto, anzi stravaccato sul divano, dal satellite o dal digitale terrestre – e mi tocca vedere ancora gli occhi levati al cielo di Cavani e i suoi compagni festeggiarlo. La telecamera indugia sul fuoriclasse partenopeo e fa bene. Poi, all’improvviso, vira di brutto e si sofferma sulla faccia di Miccoli e qui il mio vecchio cuore rosanero ha uno spasmo, come una contrazione innaturale. Il regista indugia sul suo volto disfatto (dalla fatica e non solo), la partita sta finendo e in campo non può succedere più nulla, quindi si attarda sullo sguardo errabondo del capitano rosanero, che sembra incredulo più che amareggiato; che sembra vergognarsi più che dolersi per la disfatta della sua squadra; che sembra sgomento più che distrutto dalla fatica, lui che non è più un ragazzino e quegli scatti a ripetizione, quasi tutti velleitari se non inutili, lo hanno letteralmente raso al suolo. Ma lui è il capitano e, per dovere scritto e sottoscritto, non può arrendersi né rassegnarsi; lui deve lottare. Sempre. Ed è quel che ha fatto nei novanta minuti, l’unico con qualche guizzo da campione qual è, ma intorno aveva una squadra che procedeva a braccio, non aveva un copione da interpretare, tutti correvano a perdifiato senza sapere dove andare, tipo mosca cieca, solo che l’avversario, invece, sapeva cosa fare e come farlo. E ci ha messo pure una determinazione feroce, qualche volta persino eccessiva, considerato il livello invero modesto del suo avversario. Ma dicevo di capitan Miccoli e del suo volto inquadrato a lungo, troppo a lungo, dal regista di Sky; dei pericolosi sussulti che ha provocato al mio cuore; del “messaggio” che ne ho ricevuto ed infine dell’angoscia che mi ha attanagliato, perché quegli occhi parlavano chiaro e dicevano: “Signori miei, di questo passo, con questo organico, non abbiamo dove andare. O meglio, potremo solo andare in serie B”.
Forse sto esagerando? Io dico di no, perché Miccoli lo conosciamo, è uno che ama la maglia e so di non spararla grossa, dicendo una cosa che, ai tempi d’oggi, sembra più una boutade che un’affermazione sensata. Miccoli è rimasto a Palermo e non ha avuto neanche rinnovato il contratto. Anzi, gli è stato detto: prima vediamo se te la cavi e poi a dicembre ne parliamo. Come fosse un giovincello in cerca di affermazione nella massima serie e invece è il “recordman” dell’ultracentenaria storia rosanero, quello che con i suoi gol e i suoi assist (16+19) l’anno scorso ha salvato il Palermo da sicura (e meritata) retrocessione, l’unico della vecchia guardia rosanero rimasto, visto che degli altri due veterani, uno, Balzaretti, dopo molti dubbi e troppe esitazioni, ha scelto la Roma di Zeman e l’altro, Migliaccio, aspetta dall’inizio dell’estate di cambiar casacca. E di occasioni per scappar via, Miccoli ne ha avute: prima quella del Birmingham, che lo copriva d’oro appena due stagioni fa, pur sapendo che da mesi era costretto all’infermeria per un grave infortunio al ginocchio; poi, quella degli arabi e di Zenga che, a parole come ben sappiamo, è bravo, quasi un incantatore di serpenti. Basti dire come esordì nella sua conferenza di presentazione, quando Zamparini lo volle alla guida del Palermo: “Bando alle ciance: noi lotteremo per lo scudetto, i miei giocatori sono mentalizzati per vincerlo!”. Stupore generale, facce strane tutt’intorno e… intanto qualcuno si suggestionò al punto da dargli credito. Solo che poi cominciò il campionato e, mentalizzati o meno, quelli non erano giocatori da scudetto e, soprattutto, lui come allenatore di serie A doveva ancora farsi le ossa. Questo per spiegare come l’aver rifiutato a trentatrè anni le profferte di un affascinante affabulatore come Zenga conferma che Miccoli è rosanero nell’anima, oltre che nel… portafogli e nel contratto. E vederlo dunque con quella faccia alla fine della partita col Napoli, mi ha fatto pensare che, se non si interviene con la massima energia per rimpolpare un organico gracile e inadeguato, il rischio di finire male c’è. E Miccoli non se lo merita; dico Miccoli per dire tutti quelli che amano questi colori, legati a quest’infinita illusione che è il calcio. Come non se la meriterebbe Migliaccio che, dopo la gagliarda sua prova di ieri, pur chiamato a sorpresa al posto di Brienza e in un ruolo che non è il suo, ha giocato come sa, cioè col cuore, sudore e sangue per la maglia, ieri, oggi, domani, sempre.
Sempre? Io lo spero con tutto il cuore. Chissà? Io mi auguro che lui resti, perché Giulione è uno vero, uno che non se ne trova un altro facilmente e, quindi, perché lasciarlo andare e non trovare, invece, il modo di convincerlo a far da chioccia a questa squadra implume, che ha bisogno come il pane, oltre che di rinforzi adeguati, di esempi di professionalità e attaccamento ai colori, come lui?