CATANIA – Proiettate in aula le chat, compresi messaggi e file audio, della baby sitter americana che nel 2019 sarebbe stata stuprata dai ventenni, Roberto Mirabella, Agatino Valentino Spampinato e Salvatore Castrogiovanni. I tre stanno affrontando il processo davanti al gup Luigi Barone per lo stupro che è stato anche immortalato in un video di un cellulare.
Un filmato che è diventato la prova regina dell’accusa in quanto c’è un momento in cui la giovane ragazza pronuncia le parole “non voglio”. Un chiaro segno di diniego per la procura e per la parte civile.
Non è così però per l’avvocato Giovanni Avila, difensore insieme a Monica Catalano di Spampinato. “Non può bastare questa frase per dimostrare che si è trattato di un caso di violenza sessuale”. Per il penalista in questo processo non ci sarebbero le prove “nè del diniego, ma nemmeno del consenso”. In mancanza di ciò per Avila bisogna analizzare le condotte dei protagonisti del processo “prima, durante e dopo il rapporto sessuale” che si è consumato in auto in piazza Europa. E le chat, secondo il difensore permetterebbero di ricostruire quanto accaduto quella sera. Avila ha passato al setaccio i messaggi che la giovane ha scambiato con il suo assistito anche dopo lo stupro, evidenziando i toni e le parole usate dalla giovane che “non apparirebbero quelli di una vittima che conversa con chi l’ha stuprata poche ore prima”.
Spampinato, inoltre, rischia una condanna più pesante rispetto agli altri due coimputati in quanto è accusato di una seconda violenza sessuale. L’avvocato ha illustrato al gup anche i contenuti delle chat che la ragazza statunitense ha tenuto sia con un’amica che con il giovane a cui ha chiesto aiuto. Ed è proprio su quell’audio che il penalista ha palesato un interrogativo: “perché dire solo ‘non voglio’ e non chiedere soccorso in modo più chiaro?”. Singolare, poi, per il penalista che invece le chiamate al 112 sono tutte ‘mute”.
E su questo aspetto si è concentrata una parte dell’arringa dell’avvocato Giuseppe Rapisarda, difensore di Mirabella, che ritiene che quelle telefonate ai carabinieri siano state fatte per poter avere una “scusa ove fosse stato diffuso il video”. Quello tra i quattro ragazzi ha argomentato il legale sarebbe stato “un rapporto consenziente”, ma la giovane americana avrebbe poi avuto dei problemi “a raccontare quanto accaduto alla famiglia che la ospitava e dove lavorava come baby sitter”. È stato proprio Rapisarda a chiudere le discussioni delle difese.
La pm, dopo aver ascoltato le arringhe, ha chiesto al gup di replicare. L’udienza preliminare è stata aggiornata al 4 maggio. Ed in quella data potrebbe esserci anche la sentenza.