PALERMO– Poco prima della scuola ‘Falcone’, allo Zen, la carcassa di una macchina segnala una specie di confine. Sembra abbandonata da tanto ed è, a suo modo, il sintomo dell’abbandono di un quartiere che meriterebbe di più. Ma, a parte l’opera di qualche buon samaritano, la politica scopre la periferia solo quando può rivestirsi con i paramenti della retorica. Altrimenti, volta la testa.
Qui lavora Salvatore Maranzano, l’uomo ferito nel corso dell’ultima sparatoria. I suoi colleghi sono colpiti dall’evento. Qualcuno mastica amaro: “I giornalisti vengono quaggiù perché siamo allo Zen, se succedeva in via Libertà…”. E’ difficile dargli torto. Da anni, queste zone e le persone che qui faticosamente vivono, vengono esibite mediaticamente come il paradigma della perdizione. Ma c’è tante gente di buona volontà che quotidianamente lotta. I professori e la preside della scuola ‘Falcone’, per esempio, che hanno un occhio speciale per scrutare le anime oltre i libri di testo.
La valorosa preside si chiama Daniela Lo Verde, in trincea da sette anni. Ha una scrivania piena di carte, i capelli raccolti con una penna, lo sguardo impregnato di una dolcezza che sa calarsi nell’abisso e l’ottimismo della volontà. “Sì – dice – abbiamo sentito dell’accaduto e siamo, ovviamente, molto dispiaciuti. Penso alla famiglia, ai figli”. La preside si raccoglie in un silenzio dolente, prima di ricominciare a parlare: “Io vado pazza per i ragazzi e per i miei alunni. La legalità è una frontiera irrinunciabile e non semplice. Molti studenti hanno genitori arrestati e sono tristi o arrabbiati. Sono tutti ragazzi speciali che dovrebbero avere il diritto di sognare come gli altri”.
Però, se ti giri un attimo annoti soprattutto macerie, come si può sognare nel ghetto sputato fuori dalla città, a dispetto dei proclami e delle belle parole che si ripetono fino alla noia?
“Noi, la scuola, siamo una piccola luce – continua la preside – ma appena fuori lo Zen è immerso nel buio. Io vivo nel quartiere. Ogni giorno, cerchiamo di portare a compimento un miracolo e non è facile. Noi non partiamo da zero, noi partiamo da meno infinito. La mia porta è sempre aperta, tutti possono entrare, tutti possono parlare con me. Non basta insegnare l’italiano, la matematica, che sono comunque fondamentali. Dobbiamo porci nella posizione dell’ascolto e fare in modo che ci siano sbocchi. L’altra mattina un genitore era arrabbiato con una professoressa e l’aspettava nell’atrio a gambe larghe e braccia conserte. Sono andata da lui: ‘Si è messo così perché ci vuole abbracciare?’. E lui si è sciolto in un sorriso”. Anche la preside adesso sorride, mentre mostra un lavoretto, una stoffa regalata da un alunna con ‘tvb’ e cuoricini. “Ecco – conclude – come si fa a non amarli?”.
Merita, dunque, un abbraccio Daniela che ha appena rinnovato la sua permanenza e che sussurra, soprattutto a se stessa: “Non riesco a immaginarmi via da qui”. Le scale si attraversano con un po’ di leggerezza e di speranza in più. Ma ecco quella carcassa che segna un confine al culmine di una discarica. C’è una coppia che fruga tra le masserizie. Ricomincia il buio.