MESSINA – Si è definitivamente conclusa nella giornata di ieri la vicenda dell’omicidio di Roberto Scipilliti, il vigile del fuoco di Roccalumera ucciso a Savoca il 5 gennaio del 2017, con il corpo trovato il 14 gennaio nelle campagne della frazione Rina. La Prima Sezione della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dai due imputati, Fabrizio Ceccio e Fortunata Caminiti, confermando la sentenza emessa il 18 luglio del 2019 dalla Corte d’assise d’appello di Messina, che ha inflitto l’ergastolo.
Ceccio è stato difeso dal legale Salvatore Silvestro, Caminiti dal legale Filippo Marchese, mentre le parti civili sono state rappresentante dai legali Maria Pia D’Arrigo e Giovanni Longo per la compagna di Scipilliti, Diana Eva Manka (genitore della figlia minore) e l’avvocato Antonio Roberti per il padre Francesco, l’altro figlio Francesco e le sorelle Cristina e Grazia. Fabrizio Ceccio, 48 anni di Pagliara e Fortunata Caminiti, 51enne di Mandanici, sono stati riconosciuti quindi colpevoli in tutti i gradi di giudizio quali “amanti diabolici” che hanno ucciso il 55enne vigile del fuoco con un colpo di pistola semiautomatica Sig Sauer, gettando poi il corpo lungo un canale di scolo della strada provinciale agricola 234 Scopelliti-Savoca, a monte di Rina.
Un omicidio che i giudizi hanno sottolineato essere stato premeditato. Un delitto il cui movente non è stato mai chiarito, probabilmente un debito da 1.500 euro. Fondamentali per individuare i due assassini, arrestati 20 giorni dopo, sono state le immagini di due telecamere presenti a Rina che quel giorno hanno inquadrato l’auto utilizzata dalla coppia, una Fiat Panda gialla presa a noleggio, le tracce di sangue che sono state trovate all’interno del mezzo e gli spostamenti delle utenze telefoniche in uso alla coppia.