Mafia, condannata a 14 anni Rosalia Messina Denaro: fu l'alter ego del boss - Live Sicilia

Mafia, condannata a 14 anni Rosalia Messina Denaro: fu l’alter ego del boss

Sentenza pesante per la sorella del boss

PALERMO – Donna boss, alter ego del fratello, custode dei segreti della latitanza e dell’intera famiglia mafiosa. Questo è stata, secondo l’accusa, Rosalia Messina Denaro condannata a 14 anni di carcere dal giudice per l’udienza preliminare Clelia Maltese. Una sentenza dura, visto che la pena è già scontata di un pezzo così come previsto dal rito abbreviato. Ha commesso un solo errore risultato fatale per il latitante di Castelvetrano.

Lo ha “tradito” seppure involontariamente. Moglie del capomafia Filippo Guttadauro, da anni all’ergastolo bianco, madre di Francesco, nipote prediletto dell’ex latitante e pure lui arrestato per mafia, Rosalia è finita in cella subito dopo il fratello. Per l’accusa, rappresentata dal procuratore Maurizio de Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Gianluca De Leo e Piero Padova, gestiva affari e comunicazioni per il padrino.

“Rosalia Messina Denaro – scrisse il giudice nell’ordine di arresto – avrebbe offerto un “contributo radicato e stabile all’interno dell’associazione in più ambiti come il coordinamento del sistema di trasmissione delle comunicazioni in modo continuativo e fiduciario”.

Dalle sua mani passava la gestione della cassa di famiglia. A casa Messina Denaro stati trovati soldi in contanti e gioielli per un valore complessivo di 800 mila euro. Erano nascosti dietro in una intercapedine con una copertura in legno. Una bella cifra per le spese quotidiane a disposizione di persone che ufficialmente non hanno un lavoro.

Rosalia Messina Denaro, involontariamente, ha portato i carabinieri del Ros sulle tracce del latitante arrestato a Palermo e morto di tumore in carcere. Aveva conservato il diario clinico del fratello. Un foglietto manoscritto sulla ricevuta di un’operazione fatte alle poste e nascosto dentro la gamba di una sedia in alluminio.

I carabinieri erano andati nella casa di via Alberto Mario a Castelvetrano per mettere una nuova microspia e fecero la scoperta decisiva. Nel biglietto c’era scritto di cosa era malato il boss (già allora si era capita la gravità del tumore che lo ha ucciso), che cure aveva fatto e quali erano i futuri percorsi terapeutici.

“Gliel’ho detto a questa mia sorella”, disse il padrino ai pm che andarono a interrogarlo. Ma il sospetto che Rosalia lo avesse tradito non lo ha sfiorato neppure per un istante: “… mia sorella è lo stesso che essere io perché se non abbiamo fiducia in ciascuno di noi… non voglio sminuire il loro lavoro (dei carabinieri del Ros ndr)”.

Fece un errore, pensando all’imminente e tragico epilogo della sua vita: “Il punto è che io mi sono seduto in macchina ed ho capito subito che per me era finita perché già per essere voi alla Maddalena avevate tutto di me fotografie, nome, dove andavo prima… a meno che non me ne andavo in un altro luogo che voi non sapevate”.

Un errore calcolato, dunque “perché non volevo farmi trovare morto e nessuno in famiglia sapeva niente che senso ha? Allora per tenermi riservato che cosa faccio? lo dico soltanto a una persona in modo che sapesse che potesse essere questione di tempo che senso ha leggere il giornale viene trovato morto?”.


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