Mafia, droga filo conduttore di morte e misteri - Live Sicilia

“Facciamo la guerra”: droga filo conduttore di morte e misteri

Omicidi vecchi e nuovi. Gli affari con colombiani e napoletani
MAFIA, PALERMO
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PALERMO – Tanto sangue ha sporcato le strade a Porta Nuova e quanti misteri. Tutto per la droga. È il filo conduttore che lega alcuni dei più efferati episodi di cronaca avvenuti negli ultimi anni a Palermo.

Partiamo dal recente passato per arrivare al presente. La macchina della droga è sempre stata in piena attività. Nel 2019 un pluripregiudicato per rapina e traffico di stupefacenti, Francesco Bono, aveva saputo che c’era un un canale diretto per fare arrivare la droga in città dalla Colombia. Ed è un primo fatto di grande rilevanza. Negli ultimi anni i palermitani sono stati costretti a utilizzare l’intermediazione dei napoletani per rifornirsi di droga. E invece questa intercettazione fa emergere la capacità dei siciliani, soldi alla mano, di trattare direttamente con i narcos sudamericani.

Ecco emergere la figura di Giuseppe Ruggeri, genero di Antonino Lauricella, boss della Kalsa soprannominato lo scintillone. “Domani questa persona avrà appuntamento con Giuseppe… ho parlato con loro… Giuseppe il canale se l’è fatto… Con una ditta di trasporti dentro il porto…”. Il pregiudicato, dunque, sapeva che Giuseppe Ruggeri aveva un canale diretto di rifornimento di droga, spedita dentro un container che sfuggiva ai controlli all’interno del porto di Termini Imerese.

Il canale, però, si sarebbe interrotto a fine 2019 per causa di forza maggiore.
Ruggeri, soprannominato “Cozza amara” per i suoi interessi nel settore ittico, fu arrestato per scontare una condanna a 12 anni per mafia divenuta definitiva. Non bisognava disperdere il patrimonio di contatti che era riuscito ad attivare: “.. mi fai parlare con Giuseppe… per come ci dobbiamo organizzare… c’è da buscare un patrimonio di soldi… mi fanno avere tutto quello che vuoi… facciamo la guerra… riempiamo le piazze di tutte le cose… avendo noi la qualità…”.

Il pregiudicato attraverso Giuseppe Incontrera voleva discutere dell’affare con Giuseppe Di Giovanni, che in quel momento era al vertice del mandamento. “Con questi della Colombia la possiamo avere pure noi”, spiegava.

Giuseppe Incontrera era diventato l’uomo forte degli stupefacenti. La sua scalata al fianco di Di Giovanni è stata fermata per sempre dai tre colpi di pistola che Salvatore Fernandez gli ha sparato addosso in via principessa Costanza, alla Zisa.

Nel frattempo a Porta Nuova si continuava ad importare altra droga, soprattutto fumo, dalla Campania. E qui entra in ballo la figura di un altro pezzo grosso. Ivano Parrino sta scontando una condanna a 16 anni. Lo arrestarono nel blitz del 2011 che svelò l’ascesa al potere di Calogero Lo Presti, l’anziano capomafia tornato in carcere nei giorni scorsi dopo avere scontato una lunga pena.

Giuseppe Incontrera, stando alle intercettazioni, avrebbe ricevuto delle precise indicazioni da Parrino. Al figlio Salvatore, pure lui finito in carcere, diceva: “Glielo paghiamo subito e se ne devono andare dobbiamo fare bella figura perché Ivano Parrino mala figura non ne vuole fare. Nessuno lo deve sapere, nessuno”.

Lo” zio Ivano” aveva mandato “l’ambasciata, appena finisce il Coronavirus tu e il tignuso andate là prendete l’appuntamento e lo scendete qua”. Stava parlando di un carico di hashish.

Incontrera è stato assassinato da Fernandez. Una questione personale avrebbe armato la mano del balordo che si è costituito e ha confessato. È davvero andata così? Ogni volta che c’è di mezzo la droga le tensioni salgono.

Ruggeri doveva morire una notte del 2011, mentre da un’altra parte della città veniva assassinato Davide Romano e il suo corpo caricato nel bagagliaio di una Fiat Uno. Nudo, legato mani e piedi, e con un proiettile di pistola piantato nella nuca. Si tratta di un omicido ancora irrisolti. Davide Romano era un picciotto della droga.

Un uomo si nascondeva dietro le macchine parcheggiate in corso dei Mille. Alla finestra di un appartamento qualcuno che non riusciva a prendere sonno lo vide, alzò la cornetta del telefono e digitò il 113. Pensò che stesse rubando un’automobile.

Gli agenti di una volante piombati sul posto capirono subito che non si trattativa di un ladro. Nicolò Pecoraro, 68 anni, evaso dagli arresti domiciliari, era lì con una pistola calibro 7.65 in pugno. Mentre arrivavano i poliziotti era già dentro l’androne del palazzo. Un palazzo della periferia palermitana dove abitava Ruggeri.

Ruggeri e Romano nell’aprile del 2008 erano finiti in carcere assieme per droga. Da subito i carabinieri ipotizzarono che Ruggeri e Romano avessero commesso uno sgarbo a qualcuno che aveva deciso di ammazzarli entrambi la stessa sera.

Pecoraro era grande amico del padre del mafioso del Borgo Vecchio trovato morto nel bagagliaio. Si volevano un gran bene Pecoraro e Giovan Battista Romano, inghiottito dalla lupara bianca a metà degli anni Novanta perché tacciato di essere uno sbirro. Ecco perché non è stato escluso che, al contrario, Pecoraro, venuto a conoscenza della scomparsa di Romano, poche ore avrebbe deciso di vendicarlo. Pecoraro è morto per una malattia nel 2012 mentre era detenuto.

Passato e presente si intrecciano. Domenico e Matteo Romano, arrestati con Giovanni Battista per l’uccisione di Emanuele Burgio, assassinato nel 2021 alla Vucciria, sono i fratelli di Davide, il cui cadavere venne ritrovato nel bagagliaio di un’auto in una traversa di corso Calatafimi.

I Romano e Burgio sarebbero entrati in rotta di collisione per la droga. La scia di sangue ha rischiato di allungarsi. Il padre di Burgio, Filippo, mafioso di Porta Nuova, voleva vendicare la morte del figlio. Nel mirino c’era un nipote dei Romano. I carabinieri del Nucleo investigativo lo hanno arrestato sabato notte.


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