PALERMO – La più grande operazione antimafia degli ultimi anni. Novantacinque misure cautelari. Settantotto persone in carcere. Tredici agli arresti domiciliari, quattro allontanate da Palermo. Decine di estorsioni smascherate. Un mega blitz denominato Apocalisse rade al suolo le cosche di Tommaso Natale-San Lorenzo e Resuttana. Non si era mai visto prima di oggi un numero così elevato di arresti concentrato in due soli mandamenti.
L’operazione interforze – al lavoro centinaia di carabinieri, poliziotti e finanzieri – azzera l’esercito di Cosa nostra in quello che fu il regno di Salvatore Lo Piccolo. A sette anni dall’arresto di Totuccio il barone si scopre che la mafia ha serrato i ranghi, riorganizzando un grande esercito, capace di riscuotere il pizzo a tappetto e di mettere in piedi il nuovo business delle slot machine.
Dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia viene fuori la nuova mappa del potere. Il personaggio principale sarebbe Girolamo Biondino. Viene indicato come il capomafia di Tommaso Natale- San Lorenzo. Il suo è un cognome storico. Girolamo Biondino, infatti, fino a oggi era uno degli scarcerati eccellenti inseriti nella lista che tanto spaventava il Viminale. Sessantasei anni, fratello di Salvatore, l’autista di Totò Riina, Girolamo avrebbe una posizione sovraordinata rispetto a tutti gli altri. Una posizione mantenuta anche dopo che, nel febbraio scorso, gli è stato imposto di vivere in una casa lavoro nel Nord Italia per scontare un residuo di pena. Un gradino sotto Biondino nella gerarchia della nuova mafia sarebbe posizionato Giuseppe Fricano, indicato come il reggente di Resuttana. Ed ancora, la nuova mafia sarebbe rappresentata da Tommaso Contino, reggente della famiglia di Partanna Mondello e Silvio Guerrera di Cardillo. A Sferracavallo si sarebbero succeduti Andrea Luparello, Giuseppe Battaglia e Gioacchino Favaloro. Vito Galatolo (altro cognome storico), Filippo e Agostino Matassa all’Acquasanta; Gaetano Ciaramitaro alla Marinella; Pietro Magrì e Gregorio Palazzotto all’Arenella. La famiglia di Pallavicino-Zen sarebbe diretta da Sandro Diele e Onofrio Terracchio. A Torretta, invece, comanderebbe Angelo Gallina.
Nei due mandamenti il pizzo resta la principale fonte di sostentamento economico delle cosche. Il quadro è sconfortante. La mafia esercita un controllo capillare del territorio. Non c’è grande o piccola attività che sfugga alla regola della messa a posto. E i nomi dei commercianti sono finiti nella contabilità dei boss. Un libro mastro chiamato “papello”. Le microspie hanno registrato le richieste di denaro e i danneggiamenti subiti da chi non paga. Ingrossi di prodotti alimentari, surgelati e carni, discoteche, imprese edili, boowling e sale biliardi, negozi di abbigliamento, pescherie, sale bingo, negozi di elettronica, botteghe artigiane, fruttivendoli: le cosche hanno imposto pagamenti in base al giro di affari delle vittime. Si paga da poche centinaia a migliaia di euro. I titolari sono stati costretti a versare grosse somme una tantum e una tassa mensile che va dai 200 euro per il piccolo bar ai mille per l’impresa edile che, però, in caso di appalti versava il tradizionale tre per cento. Come sarebbe accaduto per la grande multisale in costruzione nello stabilimento ex Coca Cola di Partanna Mondello. Insolita la forma di pizzo imposta al titolare di un distributore di carburante: doveva comprare abiti e scarpe firmate in un negozio del salotto di Palermo per “regalarli” a boss e picciotti. Finalmente, però, che chi si è ribellato al giogo mafioso.
Le cosche, però, hanno intuito che c’era un altro modo per sviluppare un’estorsione dilagante. Ci sarebbe la mafia dietro le centinaia e centinaia di macchinette mangia soldi piazzate in bar, ristoranti e tabaccherie da San Lorenzo a Carini. Una famiglia in particolare, i Graziano, divenuti leader del settore, avrebbero fatto affari d’oro nel nuovo business che ha garantito alla mafia una valanga di soldi. E c’è pure la storia di un candidato alle elezioni comunali del 2012, Pietro Franzetti dell’Udc, indagato perché avrebbe comprato dalla mafia un pacchetto di voti per tredicimila euro.
Nuova e vecchia mafia, perché un’intercettazione farebbe luce su un fatto di cronaca in bianco e nero. E cioè sull’omicidio di Joe Petrosino. Domenico Palazzotto, uno degli arrestati, si vantava della tradizione mafiosa “centenaria” della sua famiglia. Un suo parente, così svela, avrebbe ucciso “quel poliziotto venuto dall’America per indagare qua, lo ha ammazzato uno zio di mio padre”.