CATANIA – Quattro maiali decapitati e con il sangue del suino ucciso disegnate tre croci e due G sulle ante del garage. Questo quello che si è parato davanti a un allevatore di Cesarò l’estate scorsa quando è arrivato nella sua azienda agricola. Nel mensile S in edicola sono state pubblicate le foto choc. E’ con il terrore che i Santapaola avrebbero costretto a vendere a prezzi stracciati ettari ed ettari di bosco dei Nebrodi. Quei pascoli valgono “oro” per la mafia che sarebbe stata capace di escogitare un sistema per ottenere i finanziamenti dell’Unione Europea. Giuseppe Antoci, il presidente del Parco, si accorge delle infiltrazioni di Cosa nostra e vara il protocollo di legalità che prevede la presentazione della certificazione antimafia per poter partecipare ai bandi per l’assegnazione dei terreni del Parco. La mafia cerca nuovi metodi per aggirare l’ostacolo del “protocollo Antoci”.
In questa manovra militare si inseriscono le minacce e la violenza inaudita ai danni di tre allevatori delle campagne tra Cesarò e Bronte che dovrebbero svendere i loro terreni e perdere caparre di migliaia di euro già versate. I carabinieri del Comando Provinciale di Messina e il Ros sotto il coordinamento della Dda di Catania riescono a scoprire la “vitalità criminale” dei capimafia di Cesarò e Bronte. Riemerge la figura apicale di Salvatore Catania, il boss che comanda nella città del Pistacchio e non solo. Nei nastri dei carabinieri sono impresse le violente intimidazioni: “Ho aspettato a te… vuoi trovare cose brutte con me? Mi devi dare i ventiquattro mila euro! Lo vuoi capire? Ti do una settimana di tempo, se non mi porti i soldi, vedrai cose brutte, lo vuoi vedere?”.
Ma non è il solo a finire nel mirino degli inquirenti. Gli indagati sono Roberto Calanni, Salvatore Catania, detto Turi, Giuseppe Corsaro, Giordano Antonino Galati, Giordano Luigi Galati, Salvo Germanà, Cristo Carmelo Lupica, Giovanni Pruiti, e Carmelo Giacucco Triscari. Tutti sono accusati sono associazione mafiosa e tentata estorsione.
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