"Uomo di Messina Denaro", l'operaio "merita il doppio della pena"

“Uomo di Messina Denaro”, per l’accusa merita il doppio della pena

Matteo Messina Denaro a Verona
È stato il primo condannato, ma non per mafia

PALERMO – È stato il primo ad essere condannato tra gli uomini di Matteo Messina Denaro. In primo grado però per Andrea Bonafede, ex operaio comunale, avevano retto le accuse di favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza di pena, ma non quella di associazione mafiosa.

Nel processo di appello il sostituto procuratore generale Carlo Marzella insiste: Bonafede farebbe parte di Cosa Nostra e merita una condanna a 12 anni contro i 6 anni e 8 mesi inflitti dal Tribunale.

Il pizzino e l’arresto

“Adenocarc. Il 3 novembre lo so”, c’era scritto nel pizzino trovato in una gamba della sedia a casa della sorella del padrino, Rosalia. Erano gli appunti del diario clinico di Messina Denaro. Da qui sono partite le indagini che hanno portato all’arresto del latitante poi deceduto.

Nell’imputato Bonfade il boss di Castelvetrano riponeva massima fiducia tanto da chiedergli aiuto in un momento di grandissima difficoltà. Il 3 novembre 2020 Messina Denaro ha saputo di essere malato di tumore. All’indomani Bonafede ha attivato una sim card e l’ha inserita in un vecchio cellulare in passato usato dalla suocera e dalla madre. Da allora il suo percorso sanitario ha avuto un’accelerazione.

L’operaio e i telefonini di Messina Denaro

I carabinieri del Ros, coordinati dalla Procura diretta da Maurizio de Lucia, hanno mappato il telefonino che il 5 novembre ha agganciato la cella in cui ricade l’ospedale di Mazara del Vallo. Stessa cosa è avvenuta con la scheda del telefono in uso a Bonafede. Il 6 novembre i due cellulari sono risultati ancora una volta posizionati uno accanto all’altro. È il giorno in cui il geometra Andrea Bonafede, cugino omonimo dell’operaio, colui che ha prestato l’identità al latitante, ha fatto accesso in ospedale per una visita. In realtà si trattava di Messina Denaro.

Dal 9 novembre i contatti si interrompevano. La nuova linea è rimasta per giorni muta. Il 13 novembre Messina Denaro è stato operato la prima volta all’ospedale Abele Ajello, due mesi prima del secondo intervento alla clinica La Maddalena di Palermo. Il 14 novembre è stata attivata una nuova utenza, sempre intestata a Bonafede l’operaio. Il 18 novembre la nuova sim e quella intestata a Bonafede hanno agganciato una cella di Campobello di Mazara. Messina Denaro era tornato a casa.

All’inizio all’imputato era stato contestato solo il fatto di avere prelevato le ricette mediche per il latitante dal medico Alfonso Tumbarello. “Un favore a mia insaputa”, aveva detto nel corso dell’interrogatorio di garanzia.

“Non sapevo chi fosse”

Bonafede ha sempre negato di conoscere il capomafia e di averlo incontrato, contestando anche un video che lo immortalava mentre si scambiava un saluto a distanza con Messina Denaro. Alle 14:36 del 13 gennaio scorso. Tre giorni prima di essere arrestato il padrino se ne andava in giro tranquillamente a Campobello di Mazara.

Nel filmato si vede Messina Denaro camminare per strada a piedi e salire sull’Alfa Romeo Giulietta. Ad un certo punto arrivava Bonafede al volante di una macchina del Comune di Campobello di Mazara. Si fermò a parlare con il capomafia, poi riprese la marcia.

Per smentire questa ricostruzione il legale della difesa, l’avvocato Tommaso De Lisi, aveva depositato il report dei messaggio scaricati dal cellulare di Bonafede. C’era un sms in cui veniva incaricato di recarsi in via Galileo Galilei, ad angolo con via Mare, e cioè a pochi passi dal luogo dell’incontro con Messina Denaro.

“Doveva sostituire una lampada dell’illuminazione pubblica”, ha sostenuto il legale. In primo grado l’accusa di associazione mafiosa era venuta meno con la vecchia insufficienza di prove. La parola ora passa alla difesa, poi la sentenza.

Bonafede i 19 ottobre scorso è stato interrogato. Ha parlato dell’architetto Massimo Gentile, altra pedina di Messina Denaro, e di quella che secondo lui è stata “l’alcova” del latitante”.


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