MILANO – Visibilia Editore, società che aveva come primo azionista (ha dismesso le quote) la senatrice Fdi e ministro del Turismo Daniela Santanchè, e da lei fondata, “versa in evidente e manifesto stato di insolvenza”. Lo scrive la Procura di Milano nell’istanza di “liquidazione giudiziale”, ossia di fallimento.
Richiesta avanzata a partire da un esposto dei soci di minoranza e dopo le analisi del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, coordinate dal pm Roberto Fontana. Analisi che in automatico portano ad un fascicolo per ipotesi di bancarotta che sarebbero in valutazione a carico degli ex amministratori, tra cui Santanchè.
Su Libero stamani è stata pubblicata la notizia della richiesta di fallimento sulla base di un comunicato di Visibilia, quotata su Euronext Growth Milan, che ne ha dato conto. L’ istanza di liquidazione giudiziale è stata formulata dalla Procura nei giorni scorsi e il Tribunale fallimentare ha fissato udienza per discuterla per il 30 novembre. Nell’istanza la Procura segnala debiti da parte della società nei confronti dell’Agenzia delle Entrate per circa 984mila euro.
La Gdf ha analizzato, come risulta da un’informativa, i bilanci “tra il 2016 e il 2020”. E ha evidenziato “costanti perdite già a far data dall’esercizio 2016” e, passando in rassegna tutti i temi della denuncia dei soci di minoranza (che ha originato pure una causa civile per “gravi irregolarità nella gestione”), ipotizza anche presunte “false comunicazioni sociali” relative ai bilanci, almeno dal 2017, con “particolare riguardo alle voci ‘avviamento’ e ‘imposte anticipate'”.
Santanchè dal 2016 e fino al gennaio scorso è stata presidente ed Ad della società. Nel novembre 2014, si legge, Visibilia Editore Holding, “nella persona” di Daniela Santanchè, “ha sottoscritto e liberato l’aumento di capitale” della “neo costituita Visibilia Editore” e ciò ha “generato il valore di avviamento” di oltre 4,3 milioni di euro. Già dal 2017, scrive la Gdf, il cda di Visibilia “avrebbe dovuto approvare bilanci riportanti valori di avviamento e imposte anticipate largamente diversi da quelli deliberati”.
Al centro degli accertamenti anche “le iniezioni di liquidità derivanti” da un finanziamento attraverso un prestito obbligazionario convertibile che, viene chiarito, “hanno sì permesso la prosecuzione dell’attività imprenditoriale ma anche, di fatto, causato il crack del valore azionario regredito del 99,97%”. Le perdite della società, si legge, sono state calmierate “dalla erronea contabilizzazione delle poste dell’attivo patrimoniale ‘avviamento’ e ‘imposte anticipate'”. I debiti fiscali, infine, allo stato non risultano “rateizzati”. Sono conseguenti all’istanza gli accertamenti per ipotesi di bancarotta, ma probabilmente anche per false comunicazioni sociali, a carico degli ex amministratori.