PALERMO- “La legge che disciplina lo scioglimento degli Enti locali per infiltrazione o condizionamento mafioso va cambiata.” Lo afferma il presidente della Commissione regionale Antimafia, Nello Musumeci, all’indomani dell’insediamento della commissione straordinaria che reggerà per almeno diciotto mesi il Comune di Corleone. “A distanza di quindici anni dalla sua prima applicazione – spiega -, la normativa che disciplina la delicata materia ha mostrato i propri limiti. Del resto, se uno stesso Comune viene sciolto per mafia due o tre volte, nello spazio di poco tempo, una ragione ci sarà. E quando questo avviene – e accade sempre più spesso – quel tipo di azione repressiva dello Stato non crea consenso sociale ma, anzi, suscita tra la gente perplessità, dubbi e, qualche volta, malumori”. “Con i colleghi della Commissione – chiarisce Musumeci – ho toccato in questi tre anni tutti i Comuni dell’Isola sciolti, ho incontrato commissari, burocrati e cittadini e le criticità sono quasi sempre le stesse. Il primo paradosso da rimuovere nell’attuale legge è il fatto che lo Stato manda a casa il ceto politico e lascia al proprio posto quello burocratico. Assurdo, perché è risaputo che spesso è il burocrate che fa da cerniera tra il potere politico e quello mafioso. Bisognerebbe prevedere l’allontanamento in altri Comuni vicini per i vertici burocratici, per la stessa durata del commissariamento. E utilizzare al meglio i funzionari esterni previsti dall’ex articolo 145. E questo andrebbe fatto anche in assenza di fatti penalmente rilevanti, proprio perché lo scioglimento del Comune è una misura straordinaria di carattere preventivo”. “Altro requisito necessario per la efficacia del provvedimento – conclude il presidente dell’Antimafia regionale – sarebbe la ‘unicità’ dell’incarico del commissario (non si può contemporaneamente lavorare al Comune ed in Prefettura) e la sua accertata managerialità, con inclusione in un apposito albo del ministero dell’Interno. Infine, una serie di deroghe alle norme in materia finanziaria e di contratti e appalti: nei due anni in cui lo Stato amministra un Comune ritenuto vulnerabile alle pressioni mafiose deve poter dimostrare alla comunità locale la ‘differenza’ della propria gestione diretta”.
"A distanza di quindici anni dalla sua prima applicazione la normativa ha mostrato i propri limiti".
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