29 Gennaio 2023, 04:59
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CATANIA. I grandi viaggiatori della storia raccontano che gli amori più importanti, le passioni più intense e i più oscuri tradimenti, li hanno vissuti a due passi da casa loro. Ed è proprio da “casa sua” che Salvatore Massimiliano Salvo, figlio di “Pippo u carruzzeri”, il boss del clan Cappello che comanda da decenni nel Villaggio Sant’Agata di Catania, ha subito le pugnalate più feroci. È proprio da personaggi un tempo più vicini a lui, oggi pentiti, ovvero Salvatore Messina detto “Turi Manicomio” del clan Pillera o Carmelo Scordino dei “carateddi”, per non dimenticare il suo ex cognato Filippo Passalacqua – uno che, giusto per rendere l’idea, con le sue dichiarazioni ha già fatto condannare all’ergastolo un fratello di Massimiliano, Giampiero Salvo – che sono arrivati gli indizi grazie a cui, oggi, è alla sbarra per omicidio aggravato. A lui contestano l’assassinio di Prospero Leonardi. E pensare che del delitto hanno parlato anche diversi pentiti ennesi, fra cui Nino Mavica “u patirnisi” e Salvatore Di Giovanni, entrambi vicinissimi alla vittima. Addirittura entrambi si pentirono la sera stessa dell’agguato, il 23 maggio 2012. Ma il cosiddetto “riscontro incrociato”, per la Dda di Caltanissetta, arriva proprio dalle dichiarazioni dei catanesi.
Secondo le ricostruzioni dei pentiti, Catenanuova, paesino di cinquemila anime nel cuore della provincia di Enna, a meno di un chilometro dall’omonimo svincolo autostradale dell’A19 Catania-Palermo, era finito al centro delle mire espansionistiche della famiglia Salvo. Salvatore Massimiliano Salvo, pregiudicato, già detenuto e con condanne per mafia e traffico di droga, secondo il racconto dei pentiti avrebbe organizzato l’eliminazione di Prospero Leonardi, giovanissimo di Catenanuova, per stroncarne il tentativo di rimettere in moto il vecchio clan di Cosa Nostra ennese scalzando i Cappello. È difeso dall’avvocato Giorgio Antoci e la prima udienza del processo con giudizio immediato, in programma ieri mattina a Caltanissetta, è slittata al mese prossimo.
Secondo gli inquirenti Massimiliano Salvo sarebbe tra gli ideatori, gli organizzatori e gli esecutori materiali dell’omicidio. La vittima aveva preso contatti con alcuni mafiosi di altri centri e stava tentando di spostare il potere verso Cosa Nostra, in nome di un suo cugino, Salvatore, ritenuto un boss e da tempo detenuto. Il giovane Leonardi avrebbe intimato ai Salvo di andare via dal paese. Uno sgarro ritenuto intollerabile, un “errore” che si sarebbe rivelato fatale. Per Salvatore Massimiliano Salvo, l’ipotesi di omicidio è aggravata dall’aver agito con premeditazione, per favorire il clan Cappello – che da quel momento non ebbe più rivali nella raccolta del pizzo e nel traffico di stupefacenti – e di aver commesso il fatto di sera, “in circostanze di tempo tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”.
Le indagini sull’omicidio erano state chiuse nel 2017 e riaperte a settembre 2019 proprio a seguito delle rivelazioni dei pentiti catanesi. Il delitto risale al maggio di undici anni fa, come detto, quando di sera la vittima fu ferita mortalmente con una pistola calibro 7,65 in piazza Marconi, nel cuore della cittadina di Catenanuova. Erano le 21,20. A entrare in azione fu un killer solitario, che si mise a sparare fino a quando, a cadere sotto i colpi della sua pistola calibro 7,65, non fu la vittima designata dell’agguato. In quelle fasi rimase ferito anche un uomo che si trovava con Leonardi, che fu portato d’urgenza in ospedale e riuscì a cavarsela. Leonardi aveva la fedina penale immacolata, mai alcun tipo di precedente, ma era ritenuto dagli investigatori vicino agli ambienti del crimine organizzato, lui che era cugino di Salvatore Leonardi, in carcere ma da sempre ritenuto un punto di riferimento del clan di Enna di Cosa Nostra, gruppo appartenente alla cosca pseudo-mandamentale che faceva capo allo storico boss Gaetano Leonardo, detto “Tano u liuni”.
Poco dopo l’omicidio Leonardi, i Cappello dovettero fare i conti con le rivelazioni di due nuovi collaboratori di giustizia: Salvatore Di Giovanni e Antonino Mavica. Il primo era il terzo uomo a trovarsi la sera dell’omicidio assieme a Leonardi. E quella sera stessa iniziò a parlare con i carabinieri, raccontando di essere rimasto sconvolto per la brutalità di ciò che aveva visto, tanto da decidere di vuotare il sacco. Mavica, invece, era cognato di Leonardi. Pure lui, quella stessa sera, decise di collaborare con la giustizia. In questo modo fu possibile ricostruire l’attività di Leonardi e i suoi giorni precedenti, quando aveva preso contatti con alcuni personaggi mafiosi di altri centri e stava tentando di riannodare i fili di Cosa Nostra. Oggi l’inchiesta è condotta dai Ros, sotto il coordinamento della Dda e del pm Pasquale Pacifico.
Ora sono arrivate le nuove dichiarazioni dei pentiti catanesi. Messina ha detto che l’omicidio sarebbe “scaturito da una ritorsione voluta da Massimo Salvo ai danni di un giovane che era transitato con il gruppo del Mirabile”. Mirabile, notoriamente, vuol dire Santapaola-Ercolano, ovvero il clan di Cosa Nostra con cui Salvatore Leonardi e il gruppo ennese è storicamente alleato. “Come riferitomi dallo stesso Massimo Salvo, il quale una volta venne a trovarmi in via Sebastiano Catania e mi disse che suo cognato Filippo a colloquio con la moglie le aveva riferito che era molto nervoso per tale passaggio, Massimo mi disse che si sarebbe occupato lui di questa cosa e in effetti alcuni giorni dopo, quando lo incontrai, mi disse che “era tutto risolto” alludendo al fatto che questo soggetto era stato ammazzato”. Dal canto suo, Scordino avrebbe ammesso di esser stato lui a rubare l’auto, una Punto poi rinvenuta a Paternò completamente avvolta dalle fiamme, usata dai killer. Infine le “celle di localizzazione” del suo telefonino non lascerebbero dubbi: quel giorno Salvo era a Catenanuova, fino a pochi minuti dopo il delitto.
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