Faida di mafia nel Catanese | Smantellate due cosche

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29 Aprile 2009, 11:46

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Operazione antimafia della Dda di Catania, arrestate 25 persone. La polizia ha smantellato due cosche mafiose, tra loro rivali, che operavano nel territorio di Adrano e si contendevano il racket delle estorsioni e il traffico di droga nella zona. Da una parte gli affiliati alla cosca Scalisi, collegata al clan Laudani. Dall’altra i Santangelo Taccuini, vicini alla famiglia catanese dei Santapaola.

I provvedimenti sono stati emessi dal procuratore capo etneo Vincenzo D’Agata e dai sostituti Giovannella Scaminaci, Pasquale Pacifico, Agata Santonocito ed Antonino Fanara, nei confronti di 27 persone. Due degli indagati risultano tuttora latitanti. Gli agenti hanno eseguito decine di perquisizioni e controlli su tutto il territorio di Adrano.

Le indagini hanno consentito di accertare l’esistenza di forti contrasti tra i due storici gruppi malavitosi operanti ad Adrano: le famiglie dei Santangelo Taccuini e degli Scalisi. Sono state riscontrate gravi incomprensioni anche in seno agli stessi organigrammi criminali, soprattutto durante la carcerazione dei due rispettivi capimafia: Alfio Santangelo e Giuseppe Scarvaglieri. Una feroce rivalità che avrebbe portato il 27 luglio 2006 all’omicidio di Alfio Rosano, Daniele Crimi e Alfio Finocchiaro, avvenuto a Bronte; il 4 agosto 2007 all’omicidio di Nicolò Liotta; infine il 18 gennaio 2008, sempre come ritorsione al triplice omicidio, viene eliminato Francesco Rosano, amico intimo dei fratelli Liotta, figli di Nicolò. Successivamente a tali fatti di sangue, si sarebbero acuiti i contrasti fra i Santangelo Taccuini e i Rosano, detti “Pipituni”. In particolare sarebbero emerse incomprensioni fra Vincenzo Rosano, personaggio di maggior rilievo della famiglia “Pipituni”, e Antonino Quaceci, genero di Alfio Santangelo, che al momento dei fatti si trovava in carcere a Milano. Incomprensioni dovute principalmente al desiderio di vendetta di Vincenzo Rosano per l’uccisione del fratello Alfio ed del nipote Daniele Crimi, omicidi ai quali il clan Santangelo Taccuini, e nello specifico Antonino Quaceci, non aveva dato una immediata risposta.

Alfio Santangelo, dopo essere stato scarcerato il 26 marzo 2008, proprio per riordinare le fila del suo clan, sarebbe a casa dei defunti Alfio Rosano e Vincenzo Rosano  per una serie di riunioni. Ciò nonostante i due fossero rispettivamente sottoposti agli arresti domiciliari e alla sorveglianza speciale. Santangelo, anche durante la sua detenzione, aveva continuato costantemente ad impartire dal carcere ordini precisi e direttive criminali, in merito alla gestione del clan, in lotta con gli Scalisi. E progettava anche numerosi investimenti finanziari all’estero, impiegando così i proventi del traffico di droga.

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Una volta appianati i dissidi, Alfio Santangelo avrebbe tentato in tutti i modi di riottenere, nei confronti del clan Scalisi, quella supremazia territoriale che aveva perso a seguito della faida di mafia avvenuta nel ’90. Ma il 18 aprile 2008 viene consumato un altro delitto e viene ucciso Salvatore Santangelo. Così nonostante gli accordi già consolidati, secondo cui era riservata al clan Santangelo Taccuini la gestione della droga, mentre al clan Scalisi in maniera primaria la gestione delle estorsioni, si sarebbe verificata una grave rottura degli equilibri che per ben 15 anni avevano garantito la “pace” fra i due clan. Infatti, Alfio Santangelo avrebbe tentato in tutti i modi di acquisire la gestione delle estorsioni del locale mercato ortofrutticolo, pretendendo una “fetta” dei proventi.

Tale richiesta non sarebbe stata accettata da Giuseppe Scarvaglieri, che tramite il suo attuale referente, cioè l’indagato Francesco Coco, avrebbe ingiunto ad Alfio Santangelo di rimanere fuori dalla gestione delle estorsioni e di non vantare al riguardo alcuna pretesa, riaprendo così la vecchia faida. Infatti, a distanza di alcuni giorni, avveniva il tentato omicidio di Francesco Coco, che riusciva miracolosamente a sottrarsi all’agguato, omettendo peraltro di denunciare l’episodio alle forze di polizia. Visto il fallimento del tentativo di omicidio ai danni di Coco, a distanza di pochi giorni, e precisamente il 15 agosto 2008, viene consumato l’omicidio di Alfio Neri, ritenuto molto vicino al clan Scalisi ed inoltre legato da amicizia, quasi fraterna, con i pregiudicati Roberto Angelo Zitello e Francesco Coco.

E proprio questo ultimo fatto di sangue avrebbe riacutizzato la faida tra i due clan, tanto che, come è emerso da diverse intercettazioni ambientali in carcere a Spoleto nei confronti di Giuseppe Scarvaglieri, quest’ultimo avrebbe impartito ordini precisi affinché i suoi affiliati, e nello specifico Francesco Coco, per una ritorsione nei confronti del clan Santangelo Taccuini, uccidendo uno degli affiliati. Da quel momento si sono succeduti diversi tentatativi di omicidio, fino al 22 aprile scorso, quando più volte il clan rivale ha tentato di uccidere Alfio Santangelo.

Nel corso delle indagini è inoltre emerso che il “giovanissimo” gruppo di fuoco, alle dipendenze di Carmelo Chiaramonte, aveva in mente di organizzare, qualora non fossero andati a buon fine i tentativi di omicidio in modo “tradizionale”, un attentato con un’autovettura imbottita di esplosivo, da azionare con un comando a distanza. L’ordigno doveva essere piazzato nella piazza principale del paese. Il progetto, che gli indagati definivano di agevole realizzazione e non escludevano di concretizzare a breve, ha determinato definitivamente i magistrati della Dda a disporre i fermi nei confronti di entrambi i clan rivali, per “porre fine ad una situazione di intollerabile pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico di una intera comunita’ cittadina”.

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29 Aprile 2009, 11:46

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