PALERMO – Comunicare le cose fatte, serrare i ranghi, preparare almeno 4 liste e attendere l’esito del referendum costituzionale, da cui dipenderà la piega che prenderà la prossima campagna elettorale. Nel giorno in cui Beppe Grillo riunisce a Palermo i grillini di tutta Italia, a Palazzo delle Aquile Leoluca Orlando olia gli ingranaggi della sua macchina e dice apertamente di voler votare no, anche se non costituirà alcun comitato.
Nella sua stanza questa mattina si sono ritrovati i consiglieri comunali del Mov139 quasi al completo, il braccio destro Fabio Giambrone e il fidato Diego Bellia, oltre ai due volti della comunicazione politica: Pietro Galluccio e Alessandro Lombardi. Un vertice chiesto dai consiglieri e indetto dal primo cittadino per mettere a punto i primi passi di una campagna elettorale su cui però gravano troppe incognite.
Non è un segreto che il futuro della politica cittadina, e in più in generale di quella regionale e nazionale, dipenderanno dalla vittoria del sì o del no: se Renzi avesse la meglio, confermerebbe la sua leadership e l’attuale schema politico; se a vincere fossero i contrari, il panorama si destrutturerebbe ancora una volta aprendo varchi enormi per chi, come Orlando, fa il battitore libero e potrebbe così puntare alla Regione. Il Professore ha assicurato ancora una volta che si candiderà a sindaco, ma i suoi sanno bene che tutto potrebbe cambiare da un momento all’altro.
Ne è una prova che perfino i possibili candidati al consiglio comunale (ovviamente non parliamo degli uscenti) stanno aspettando di capire come si metteranno le cose, prima di buttarsi fra le braccia di un aspirante sindaco in particolare. C’è poi da considerare la nuova legge elettorale, che assegna il premio di maggioranza al primo turno solo se le liste arrivano al 40% (impresa impossibile per gli orlandiani, che nel 2012 potevano contare su un simbolo conosciuto come Idv ma arrivarono ad appena il 15), e il “fattore Grillo”. Secondo alcune proiezioni a disposizione dello staff del sindaco, ad oggi Orlando e M5s valgono in città circa il 70%: il problema è che al ballottaggio Orlando potrebbe essere la testa d’ariete dei partiti tradizionali contro i cinque stelle oppure il bersaglio dei partiti, che sul modello Torino potrebbero votare Grillo per neutralizzare l’uscente.
“Io sono il più grillino del sistema partitico e il più politico fra i grillini” ha detto Orlando ai suoi, spiegando con una battuta il doppio ruolo che potrebbe essere costretto a rivestire: ultimo baluardo dei partiti per sperare di non sparire o il bersaglio proprio di questi ultimi. Un gioco rischioso, che potrebbe anche ritorcersi contro il Professore, che però si è detto pronto a scendere in campo.
Orlando ha confermato di votare no al referendum, ma non per andare contro il governo nazionale che paradossalmente potrebbe sperare in lui per evitare che proprio da Palermo parta il ciclone grillino che investirebbe tutta l’Italia. E’ per questo che il sindaco lascerà liberi i suoi non fondando comitati per il sì o per il no, ma rimanendo uno dei pochi sindaci di grandi città a non fare campagna in un senso o nell’altro, contrariamente a Roma, Torino o Napoli. L’obiettivo è anche di non essere accomunato a un fronte del no che va da Salvini a Brunetta.
L’unico punto fermo, al momento, è che il primo cittadino non vuole fare alleanze con i partiti. In cantiere ci sono 4 liste, forse qualcuna in più, ma senza simboli di partito: ben accetti esponenti del mondo sindacale, delle associazioni, della società civile e anche orfani dei partiti, ma niente simboli. Inoltre le liste potrebbero essere miste, evitando che gli uscenti vadano tutti in una. L’obiettivo è vincere al primo turno, sperando che alla fine i grillini mettano una croce sul simbolo del M5s per il consiglio comunale ma che si lascino convincere ad attuare il voto disgiunto, preferendo Orlando. Il ballottaggio sarebbe troppo rischioso, anche se questo significherà che gli orlandiani dovranno cavarsela da soli, senza sperare nel premio di maggioranza considerato improbabile.
In questi ultimi mesi, però, alcune cose dovranno cambiare e il sindaco lo sa bene: ripartire dalle periferie, tirare le orecchie a assessori e presidenti di partecipate, puntare sulla pulizia e far vedere com’era la città nel 2012 e come è nel 2016, con una campagna di comunicazione ad hoc (in realtà già partita) che mostrerà il primo e il dopo di alcuni scorci cittadini, su tutti via Maqueda.