PALERMO– Daniela Crimi, professoressa e preside per invincibile passione, ha una storia che si lascia raccontare volentieri, perché suggerisce uno scenario di speranze. Negli anni di ‘Mery per sempre’ insegnava al carcere minorile di Palermo, aveva a che fare con ragazzi che non possedevano lacrime, soprattutto rabbia. Poi ha percorso tutti i gradini della scuola e adesso, da dirigente del liceo linguistico ‘Cassarà’, fra gli altri doveri della didattica, si occupa di ragazze abusate, maltrattate, terrorizzate.
“Sì – dice, questa rammendatrice di anime, sempre schiva nell’esporsi, tanto da doverla forzare -. Sono qui dal 2010, cinque anni fa ci siamo inventati, e l’impegno dei colleghi è fondamentale, uno sportello d’ascolto. E’ vero: vengono specialmente ragazze e abbiamo scoperto un mondo di brutture e di risalite”. Lì, in quel pezzo di narrazione, ci sono tutti gli stereotipi maschilisti che, talvolta, si rivelano pienamente quando approdano alla cronaca nera: troppo tardi. Lì affiorano le lacrime delle ragazze che hanno paura.
“L’allarme scatta – dice la preside quando si assentano, o quando le vediamo piangere nei corridoi, con la testa appoggiata al muro. Tutte le classi hanno un coordinatore che le tiene d’occhio e segnala eventuali problemi. Riprendo cose passate, nel rispetto del riserbo. C’era la ragazza che trovò il coraggio di denunciare una vicenda di abusi in famiglia. La mamma era separata ed era arrivato un nuovo uomo nella sua vita. Una storia tipica, ahimè. In certi casi, proprio le madri tentano di camuffare, di minimizzare in nome di un malinteso senso di protezione della famiglia. E poi le innumerevoli situazioni di stalking, con presunti fidanzatini che alzano le mani, che usano violenza, che sono prepotenti, che impongono il vestiario, che vietano i contatti umani per la gelosia. Non sono frammenti del secolo scorso, accade adesso. Noi siamo soddisfatti dei risultati, oltretutto siamo riusciti ad azzerare la dispersione scolastica”.
Ma c’è dell’altro da raccontare: “Da giovane professoressa,appena ventunenne, ho cominciato a insegnare al carcere minorile di Palermo, al Malaspina, ed era l’anno del film ‘Mery per sempre’. Ho avuto sempre la vocazione per i contesti complicati. Mi rispettarono subito, poi mi adottarono. Sì, mi sentivo un po’ come il professore Terzi, il protagonista interpretato da Michele Placido. Però, nella realtà, tutto è chiaramente diverso. Mi chiamavano ‘signorina’ e ripetevano: ‘Signorì a vulemu bene come na suoru’. Ricordo un ragazzo di diciassette anni, un gigante, esattore del pizzo allo Zen. Fui io a dirgli che era morta la madre. Lui non aveva lacrime, non sapeva piangere. Prese un estintore e lo scagliò contro il muro. Era importante che qualcuno gli fosse vicino. Ed è questo uno dei compiti della scuola: chinarsi sulla sofferenza e ascoltarla”. Perché nessuno resti, isolato, a piangere, con la testa appoggiata al suo dolore.