PALERMO – Tra il 2019 e il 2020 Palermo viveva l’ennesima emergenza rifiuti. Cataste di spazzatura avevano invaso le strade e ammorbavano l’aria. L’allora presidente della Rap, Giuseppe Norata, decise di stoccare temporaneamente i rifiuti su un piazzale della discarica di Bellolampo. Non vedeva altra soluzione per evitare l’emergenza sanitaria.

Norata scagionato
Per quella scelta Norata era finito sotto processo. Sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui nei mesi scorso il Gup Paolo Magro ha stabilito che nel caso della frode in pubbliche forniture “il fatto non sussiste” mentre per il presunto disastro ambientale “il fatto non costituisce reato”.
L’ipotesi frode
Sulla frode si legge nella motivazione che “non può escludersi che l’imputato non abbia materialmente avuto nemmeno il tempo per prendere in mano le redini della situazione per invertire una prassi consolidata negli anni. In ogni caso non può tacersi che Norata fosse amministratore di una società a totale partecipazione pubblica non apparendo egli certamente mosso da finalità di lucro illecito che rappresenterebbero un già più solido indice di fraudolenza”.
La gestione dei rifiuti
“La vicenda della gestione dei rifiuti avrebbe imposto un attento vaglio delle condizioni in cui si sarebbe verificata la condotta contestata al solo Norata – prosegue il giudice – attraverso un esame delle determinazioni di tutti gli attori coinvolti, anche politici”.
Sulla presunta gestione illecita dei rifiuti, scrive il Gup Magro, “vanno anzitutto evidenziate le evidentissime difficoltà in cui Norata si è trovato a operare nel contesto di riferimento ovvero un impianto in fortissimo stress, un’azienda in complessiva difficoltà da decenni e indici bassissimi di raccolta differenziata”.
Non c’è dolo
Difficoltà che “non appaiono certamente riferibili in via esclusiva a Norata, il quale era pure nella sua posizione sovraordinata una figura direttiva della Rap, ma non l’unica”. Non ci fu dolo nella scelta di ammassare i rifiuti sul piazzale: “Invero la gravità della situazione in cui versava l’impianto, unitamente alla chiusura della sesta vasca e la mancata apertura della settima, impongono di chiedersi se vi fosse la possibilità per Norata di tenere il comportamento alternativo lecito che avrebbe evitato la predetta incresciosa situazione”.
Da qui la conclusione che evidenzia “la frammentarietà del quadro probatorio rispetto al quale non si rinvengono ipotetici percorsi di indagine volti a sanarne le lacune e si impone la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere”.