Palermo, la notte dell'acchianata: "Santuzza, perdonaci"

Palermo, la notte dell’acchianata: “Santuzza, perdonaci”

Il tradizionale rito dopo la violenza. Le parole che colpiscono tutti.
SANTA ROSALIA
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PALERMO– “Sentiamo particolarmente vicina Santa Rosalia, con la città segnata duramente da tanti eventi. Penso ai giovani, alle droghe che si diffondono, agli incendi, il mio pensiero va a chi vive in sé il dramma di essere stata pensata come preda di giovani che credono di trattare il corpo delle donne come mezzo, come strumento (…). Viene violentata la Santuzza, la nostra Santa Rosalia, la nostra patrona. Io salgo con il cuore che chiede anche perdono”.

La voce di Don Corrado, l’arcivescovo, monsignor Lorefice, indica le ferite di Palermo, nella notte dell’acchianata di una comunità che si dirige verso il santuario su Monte Pellegrino, secondo tradizione. Prende un microfono da campo, l’arcivescovo, prima che si avvii il rito. E parla alla sua gente. E’ una notte a Palermo anche questa, così diversa da quella degli incendi che l’hanno devastata, da quella, bestiale, della violenza di gruppo, consumata al Foro Italico. E’ un’altra notte a Palermo. Serve per ricominciare, senza dimenticare le ferite.

“Preghiamo per tutti”

C’è un popolo che si rafforza, che aumenta di numero, via via che scende il buio. Un gruppo, all’inizio della strada, distribuisce volantini sui roghi, ‘la nuova peste’. Le bruciature, sul costone della montagna, fanno male alla vista e al cuore. Appena di fianco, a pochi metri, si vendono ceri pronti per l’accensione e per la processione, da un banchetto ben fornito. La voglia di sperare, di voltare pagina, senza mai abbandonare nessuno, si respira. C’è un gruppo di San Giuseppe dei Teatini, con il rettore, padre Adam. “Le cose orribili accadute di recente sono tante – dicono all’unisono -. Dobbiamo pregare. Preghiamo per i buoni e per i cattivi. E dobbiamo chiedere perdono per le nostre mancanze”.

La lista della spesa…

Le motivazioni personali di chi acchiana sono maggioritarie. Una volta che si affronta l’impervia ascesa, sarebbe assurdo non tentare qualcosa per sé, in un contesto di benedizioni generali: è il ragionamento secondo prassi. “La mia ragazza mi ha fatto la lista della spesa, ho tutto scritto – sorride Angelo -. Così non dimentico nulla”. Un signore di mezza età mostra la fiumana di convenuti in video-chiamata: “Hai visto vita mia, siamo un sacco. Ora va mancio e poi salgo”. Ognuno si è preparato come può: con lo zainetto, con le doppie calze, con la lucina da speleologi sul berretto, con i bastoni. C’è il passo elastico, quello veloce, quello prudente, quello faticoso. Ma nessuno demorde. Ci sono pure gli acchianatori anonimi. Di dove siete? “Di un paese”. Quale paese? “In provincia”. Sì, ma quale? “Un paese….”. C’è una lieta schiera di Tamil, ragazzi e ragazze. Guadano i ciottoli con bellissimi sorrisi, tenendosi per mano.

La bellezza di Palermo

Pure Carmelo acchiana: “Dobbiamo fare dimenticare il brutto di Palermo e portare avanti la sua bellezza”. Acchiana Franco, 74 anni, con sua moglie: “Una foto? Basta che non la pubblichi. Cosa chiederò alla Santuzza? Ci pensiamo strada facendo”. Arriva un uomo che domanda discrezione con un gesto. Si inginocchia. Bacia per terra. Si toglie scarpe e calze. E va. Arriva il sindaco, Roberto Lagalla. Arrivano in tanti che mandano un bacio al simulacro di Rosalia e procedono verso la cima. Non si sa il perché e non si chiede. Ognuno acchiana da figlio di una città ferita, per giungere al cospetto della Santuzza, in cerca di grazia e perdono.


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