PALERMO – La pista nera per l’omicidio di Piersanti Mattarella resta in piedi. Alimentata da circostanze storiche, fatti e suggestioni acquisite alla memoria collettiva come certezze malgrado non lo siano.
Concutelli a Palermo
L’origine di tutto è la presenza a Palermo di Pierluigi Concutelli, terrorista nero ed ergastolano. Tra i capi di Ordine Nuovo, si era dato lotta armata. È morto due anni fa. Nato a Roma si era trasferito, giovanissimo, a Palermo. L’estremismo di destra siciliano ha la sua impronta.
L’ergastolo gli era stato inflitto per l’omicidio del sostituto procuratore romano Vittorio Occorsio, assassinato nella Capitale il 10 luglio 1976. Arrestato il 13 febbraio 1977, l’11 ottobre 1979 Concutelli era stato trasferito nel carcere Ucciardone di Palermo.
Giusva Fioravanti, altro terrorista nero – che sarà accusato e scagionato di essere stato il killer del presidente della regione – aveva progettato di fare evadere Concutelli. Nel gennaio del 1980 incontrò a Palermo il professore Francesco Mangiameli, considerato il referente siciliano dei Nuclei armati rivoluzionari. Pochi mesi dopo, a settembre, Mangiameli fu ucciso a Roma dallo stesso Fioravanti e da altri membri dei Nar.
Il movente dell’omicidio, tuttavia, non è stato accertato. È rimasto il sospetto che Mangiameli fosse a conoscenza della partecipazione dei Nar all’omicidio Mattarella. Così ha riferito Cristiano Fioravanti, fratello di Giusva.
Nel corso delle inchieste e dei processi che portarono alla condanna della cupola di Cosa Nostra e alla assoluzione di Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini per l’omicidio Mattarella furono accertati “in modo assolutamente certo e incontrastabile” i rapporti fra la mafia e i terroristi neri già prima del 1980.
La strage del rapido 904
La Corte d’Appello di Firenze, per la strage del Rapido 904 del 23 dicembre 1984, d’altra parte aveva condannato all’ergastolo il boss Pippo Calò. Era l’anello di collegamento fra Cosa Nostra e gli ambienti eversivi di estrema destra. In mezzo c’erano i rapporti con i componenti della Banda della Magliana, operativa a Roma dove Calò ha vissuto. Rapporti che già esistevano tramite Stefano Bontate, il principe di Villagrazia, fra i primi a morire sotto i colpi dei corleonesi di Totò Riina.
Altri spunti erano emersi dalla possibile correlazione tra l’omicidio Mattarella e la strage di Bologna. Nel 2025 la Cassazione ha reso definitiva la condanna all’ergastolo di Paolo Bellini, ex militante di Avanguardia Nazionale, riconosciuto colpevole come esecutore materiale della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna che causò 85 morti e oltre 200 feriti. Bellini ha avuto rapporti con la mafia siciliana.
Le targhe
Uno degli argomenti su cui le suggestioni si sedimentano sulle verità è certamente quello delle targhe. Il commando che uccise il presidente della Regione Mattarella, il giorno dell’Epifania del 1980, usò una Fiat 127 con la targa falsificata PA 546623. Il 26 ottobre 1982, nel corso di una perquisizione nella casa torinese di Fabrizio Zani, in via Monte Asolone, saltò fuori un’altra targa: PA 563091. Zani, esponente della destra eversiva, era vicino a Valerio Fioravanti e a Gilberto Cavallini.
La targa originale della 127 era PA 536623 ma fu manomessa sostituendo il numero 53 con il 54 di un’altra targa (PA 540916) rubata a Palermo la notte prima dell’omicidio Mattarella. Nell’appartamento di via Monte Asolone furono trovati “pezzi di targa di cui uno comprendente la sigla PA e uno contenente la sigla PA e il numero 563091, nonché una confezione di pasta modellante Das”.
La targa sequestrata a Torino presentava una sequenza che comprendeva i numeri residui delle due targhe usate per comporre quella della Fiat 127 (PA 546623) e cioè il numero 53 e i numeri 0916.
Una sorprendente coincidenza tanto che la Direzione nazionale antimafia invitò la Procura di Palermo ad approfondire.
Già negli anni Ottanta, l’allora giudice istruttore Giovanni Falcone aveva indagato sulla sequenza di numeri. L’ipotesi è i killer del presidente della Regione fossero Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, ma furono assolti dalla Corte d’assise.
Per un lungo periodo si è creduto che i due pezzi di targa sequestrati a Torino fossero stati distrutti. In realtà il 2 novembre 1989 il giudice istruttore di Palermo Gioacchino Natoli era andato all’ufficio corpi di reato della Corte di Appello di Roma per acquisire le due targhe al fascicolo dell’inchiesta sul delitto Mattarella. Ed è in questo fascicolo che la Procura di Palermo ha regolarmente trovato i due pezzi di targa.
Un consulente tecnico nel 2020 stabilì che il pezzo riportante la sigla PA e la targa intera PA 563091 non presentavano “punti di discontinuità, né lesioni, né fratture”, né “segni di alterazione e/o contraffazione” e pertanto sono costituite da una “unica, integra e continua lastra di materiale plastico non proveniente da assemblaggio mediante collanti o altro tipo di adesivo di pezzi originariamente distinti da altri esemplari di targhe”.
È emerso pure che la targa Pa 563091 apparteneva ad una macchina immatricolata il 3 marzo 1980, dunque dopo l’omicidio Mattarella, e rubata Palermo il 24 marzo 1982. Escluso infine che per modellare la targa della 127 fosse stato usato del Das.
Le armi
Anche sulle armi c’è chi per un lungo periodo ha sostenuto che fosse stata trovata una correlazione fra le pistole del delitto Mattarella e quelle di altri omicidi.
Gli assassini del presidente della Regione hanno utilizzato due armi: quattro colpi furono sparati da un revolver calibro 38 Special o 357 magnum, a sei righe sinistrorse, di classe compatibili con la marca Colt; altri quattro colpi con un revolver calibro 38 o 357 magnum a otto righe destrorse. I carabinieri del Ros hanno fatto una ricognizione sulle armi usate dai terroristi dei Nar.
Era stata individuata una possibile verosimiglianza con l’omicidio di Mario Amato, sostituto procuratore Roma, assassinato il 23 giugno 1980. Un omicidio per il quale sono stati condannati in via definitiva, tra gli altri, Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini. E con quello della guardia giurata Erminio Carloni, ucciso a Milano il 18 novembre 1982.
Le comparazioni fra i proiettili sparati per uccidere Mattarella e quelli del delitto Carloni hanno dato esito certo e negativo. Nel caso dell’omicidio Amato si sono concluse con un esito di “generica compatibilità”.
Le pistole dell’omicidio Mattarella
In particolare, i proiettili che colpirono Mattarella sono stati comparati con quelli esplosi del revolver, calibro 38 special, marca Colt Cobra, sequestrato il 5 agosto 1982 nel covo dei Nar, in via Nemea a Roma. La Colt Cobra presentava un difetto meccanico nel congegno di scatto e nel tamburo che ne poteva determinare l’inceppamento. Nel 2019 i Ris conclusero che “sussiste una generica compatibilità giacché i proiettili rinvenuti in occasione di dell’omicidio Mattarella erano caratterizzati da sei rigature sinistrorse”.
Proprio come quelli esplosi per uccidere Carloni. I periti hanno spiegato che è trascorso troppo tempo per avere certezze: “In definitiva, la perizia non ha né accertato né escluso l’identità dell’arma utilizzata per i due delitti, né che, comunque, i proiettili esplosi contro il presidente della Regione siciliana provenissero dalla Colt Cobra sequestrata a Roma (indipendentemente se questa fosse stata l’arma usata per l’uccisione del giudice)”.
I due nuovi indagati
La pista nera non è stata accantonata, anche se la Procura di Palermo ipotizza oggi che sarebbero stati due killer di mafia a uccidere il fratello del Capo dello Stato.
Gli indagati sono Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese. I magistrati attendono l’esito della comparazione con un’impronta trovata sulla carrozzeria della 127 mentre pochi giorni fa con l’accusa di depistaggio è stato arrestato l’ex prefetto Filippo Piritore.

