Palermo: "Stupro, paura pena non basta: curare la ferita sociale"

“Stupro, non basta la paura della pena: si deve curare la ferita sociale”

L'avvocato Paolo Grillo
Le parole dell'avvocato Paolo Grillo sul caso di violenza

Riceviamo e pubblichiamo l’intervento dell’avvocato penalista Paolo Grillo.

Tra le voci del bilancio della cronaca estiva palermitana, ce n’è una di cui tutti avremmo fatto volentieri a meno: il bruttissimo episodio della diciannovenne abusata da un gruppo di coetanei. Sono trapelate le modalità dello stupro, insieme ad alcuni orrendi scampoli delle chat degli indagati, su cui si sono puntellate le prime ricostruzioni: sembrerebbe che alcuni autori di quella sequenza in perfetto stile “Arancia Meccanica” abbiano avuto piena consapevolezza di aver varcato abbondantemente il confine del lecito.

Fin qui, la cronaca. Verrà poi il momento del giudizio, dal quale emergeranno colpevoli e innocenti, e che ci consegnerà una verità processuale quanto più possibile aderente a quella storica. Ad accompagnare i primi passi della macchina giudiziaria è l’inevitabile coro dei social. Tra le folle vocianti c’è chi si è scandalizzato che alcuni avvocati abbiano assunto le difese degli indagati. Il loro giudizio di colpevolezza – o comunque di riprovazione sociale, a prescindere dalla responsabilità penale – potrà anche apparire scontato, ma ha detto bene il Presidente dell’Ordine degli Avvocati palermitani: anche gli indifendibili hanno diritto a una difesa, e condannare chi non è stato ancora processato, o presumerlo colpevole fino a prova contraria è la negazione stessa del diritto. Preoccupa che alcuni considerino questo principio basilare incomprensibile o inaccettabile.

Suscita invece semplicemente ribrezzo la violenta aggressione condotta sui social ai danni della giovane vittima: destinataria di volgari espressioni d’odio o – ed è forse peggio – di predicozzi che vorrebbero convincerla di essere stata la causa di quanto le è successo. Questo è lo sconfortante risultato di anni e anni di sensibilizzazione contro la violenza di genere: siamo ancora fermi al “se l’è cercata”. Sarebbe interessante scoprire qual è il meccanismo mentale che impedisce ad un giovane di prefigurarsi le conseguenze che la legge riserva a chi si rende responsabile di un abuso sessuale.

Sarà forse il diritto penale a non fare paura? Non mi pare credibile: tutti sanno – e quelle chat parrebbero confermarlo – che se in Italia esiste una categoria di reati per i quali si finisce irrimediabilmente in galera, questi sono proprio i reati sessuali. E’ colpa di qualche misteriosa pulsione che spinge adolescenti e ragazzi a costruirsi il proprio personaggio da pubblicizzare sui social con tanto di foto e frasi a effetto degne del più trito copione da “action movie”? Sarà il bisogno irrefrenabile di essere “quotati” tra i propri coetanei? Qualunque sia il motivo che possa aver ispirato un crimine del genere, il danno ormai è fatto. E allora perché non incominciare a lavorare subito sul modo in cui porvi rimedio?

Chiedere scusa naturalmente non basta e la sanzione penale, da sola, non serve: lo dimostrano secoli di legislazione penalistica dai quali emerge un dato incontestabile: la severità della pena non riesce a svolgere quella funzione general-preventiva che pure le è connaturale. Sulla sua funzione rieducativa, pure prevista dalla Costituzione, è meglio stendere un velo di pietoso silenzio. Provare concretamente a curare la ferita sociale che si è aperta in conseguenza di un reato, invece, contribuirebbe a scongiurarne il ripetersi. La riforma Cartabia lo ha previsto, tirando fuori la giustizia riparativa dagli sterili salotti dell’accademia e trasformandola in diritto vivente. O forse sarebbe meglio dire dormiente: è, guarda caso, l’unico settore del nuovo armamentario normativo che non è ancora entrato a regime.


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