Palermo ultima in tutto | Si merita un pernacchio - Live Sicilia

Palermo ultima in tutto | Si merita un pernacchio

Zamparini, Orlando e De Filippo.

Dal calcio al resto
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Che bello essere in fondo alla classifica. Un po’, ipocritamente, dispiace, ma nel nostro codice genetico di palermitani, insieme alla rassegnazione, è iscritto un fondo di inconfessata felicità per il fondo più fondo che c’è.

Più ultimi siamo – se si potesse dire – meglio è: liberi tutti, ognuno sopravviva come vuole e come può. Altrimenti, come consumeremmo i nostri attentati quotidiani alla decenza – dal sacchetto della munnizza depositato sempre fuori gli orari astrusi del conferimento, alla macchina posteggiata sulle strisce, alla doppia fila, alla sporcizia, all’inciviltà – se intorno a noi risplendesse un fulgido cantone svizzero?

Viva la zona retrocessione. Anzi, proprio, la retrocessione. E quanto è gratificante dimorare nel banco estremo, quello vicino al bagno.

Per esempio, la graduatoria dei luoghi in cui si vive meglio, editata da Italia Oggi, conferma il sospetto: qui si vive peggio. Scrive il ‘Corriere’: “Palermo è (insieme a Napoli) tra le ultime grandi città d’Italia: il capoluogo siciliano si posiziona al posto 104. Pesano nel posizionamento le voci affari e lavoro, ambiente, criminalità, disagio sociale (Palermo è nona a livello nazionale per numero di infortuni sul lavoro per 1.000 occupati e decima per numero di suicidi per 100mila abitanti)”. Roba da riunire tutti i cittadini – ma proprio tutti – per recarsi sotto Palazzo delle Aquile e solfeggiare un monumentale pernacchio – in stile Eduardo De Filippo – al cospetto delle auguste finestre.

Invece, non succede niente. Il palermitano è abituato a ben altro: avrà commentato l’ennesima notizia del disastro con un motto salace dalla poltrona del barbiere. Infatti, l’alibi del reietto è un sostegno formidabile. Facciamo schifo? Bene, lasciateci sguazzare nel nostro sperimentato trogolo, con i nostri porci comodi, non ci rompete i cabbasisi, e vai col macchinone parcheggiato sul pianerottolo della Cattedrale.

E il calcio – metafora accattivante – non può fare eccezione. Casomai, è un elemento rafforzativo del peggiorismo. La squadra è un pianto? Il presidente – da nume munifico che era – si è ridotto a vestire i panni del pifferaio sportivo che sta portando tifosi nella spelonca delle serie B, con la solita desolata melodia: non ho più un Sol-do? L’allenatore è un bravo ragazzo che capisce di calcio quanto Zeman: cioè, niente? Brutto, cioè bellissimo, Maceriamoci tutti insieme nell’agrodolce e depravata soddisfazione dell’ultimo banco, con le orecchie d’asino. Che noia essere i primi, i secondi, i terzi e perfino i sestultimi della classe.

Con una differenza nella similitudine e nell’azzardo dei simboli che rivestono il concetto. Almeno, Zamparini, qualcosina ha realizzato, qualche sogno ha rianimato, qualche pensiero felice ha sedotto, prima dell’abbandono. Luca Orlando, invece, no. Urge un garbato Eduardo di complemento.

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