Non si può immaginare il consiglio comunale di Catania senza Benito Paolone di vedetta. Sempre presente, notte e giorno, in quella sala al primo piano in cui riecheggiano e sono destinate a riecheggiare ancora a lungo le sue orazioni di mille battaglie.
Un amore per Catania, per la città che lo aveva adottato decenni e decenni addietro. Adottato e soprattutto acclamato in piazza, al fianco di Giorgio Almirante e sui campi da rugby. Una fucina che ha animato centinaia di giovani pescati nelle periferie. Da giovani di strada non si contano quanti sono diventati uomini con le urla di Benito Paolone e Nino Puglisi, 160kg, un cuore grande, che quando faceva un passo sul campo di Santa Maria Goretti si dice che anche i pilastri tremassero.
Il rugby come espressione sportiva di un modo di affrontare la vita, irrorato dagli ideali della destra sociale che spesso si sbriciolano ricoperti dalle etichette partitiche. Benito ha dissotterrato suo fratello ammazzato dai partigiani del maresciallo Tito, e ha “mantenuto la posizione”, così dicono i militanti della destra che lo hanno affiancato per decenni nell’Msi, nella Sicilia e nell’Italia che nel frattempo cambiava. Mentre combatteva l’ennesima battaglia, quella contro un cancro maligno, non ha chiesto mai di incontrare Gianfranco Fini, ma Silvio Berlusconi. Benito ha fatto la sua scelta, e per una scelta è sempre stato pronto a lottare.