Il pianoforte suona tra la munnizza | L'incanto e l'indecenza di Palermo - Live Sicilia

Il pianoforte suona tra la munnizza | L’incanto e l’indecenza di Palermo

Grande successo per la 'Maratona Chopin' al Teatro Massimo

Il successo di Piano City e Vie dei tesori. Tutto nel caos dei rifiuti. Due facce dell'Orlandismo

La città schizofrenica
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PALERMO – La schizofrenia tra la meraviglia e la munnizza sta tutta nelle immagini che raccontano Palermo ai tempi sempreverdi dell’Orlandismo.

Prima istantanea. I pianoforti che suonano, per ‘Piano City’, in un indimenticabile weekend. L’alba struggente a Mondello, sulla sfumatura in bianco e nero di una tastiera e di una bravissima pianista che sussurra Morricone, accompagnata dal silenzio stupefatto dei presenti. E via via un intarsio di melodie che ti conduce altrove. Non è questo il meccanismo della bellezza, l’estraniamento di sé in una dissolvenza? E le ‘Vie dei tesori’, con un nuovo stupore: quelli di cittadini e turisti con gli occhi circonfusi da un senso di inesprimibile sgomento, perché sono entrambi visitatori – chi arriva, chi c’era già, ignaro – di uno scenario che non conoscevano. E il ‘Massimo’ con l’incantevole maratona per Chopin e un mare di gente: trentamila in ventiquattro ore. E i teatri pieni, con le nostre orchestre e i nostri artisti che cantano ovunque. Rimiri l’assieme e mormori, grato: “Questa è la più bella città del mondo”.

Seconda istantanea. Via Volturno, proprio alle pendici del ‘Massimo’. Il caos infernale del sabato sera. Un posteggiatore quasi distintamente vestito – secondo i canoni della capitale della cultura – che fa cenno con la mano e dialoga con i malcapitati in cerca di uno spazietto per l’automobile: “La metta qua”. “Ma scusi, siamo accanto al teatro…”. “Non si preoccupi, dottore, ci penso io”.

E basta cambiare scenario per scattare altrettante istantanee del raccapriccio. Mondello, la fogna che salta a ogni minima pioggia, riempiendo la borgata di liquami e odori da tramortire. I marciapiedi mai spazzati, con volantini delle comunali all’epoca di Cammarata. I rifiuti che non fanno più notizia. I topi, imbaldanziti, che partono quotidianamente alla ricerca di un fresco angolo e di un rinnovato ardimento. E i cantieri infiniti, una via crucis di disinganni. Allora, la notizia del disastro ti sbatte in faccia e gridi: “Questa è la città più brutta del mondo”. Eppure, un attimo prima avevi detto che era la più bella. Ma – questa è la domanda che conta – come può accadere? Come succede che Palermo sia un manifesto illuminista o un catoio maleodorante, a seconda della visuale e dell’attimo?

Sono i prodigi dell’Orlandismo, appunto, di quel macchinario di potere e suggestioni assemblato con perizia da Leoluca Orlando, il sindaco eterno. E’ la calcolata pazzia di una regola che, sapientemente, mescola l’alto e il basso, la bellezza con la munizza, il fascino con la disillusione. Così hai l’impressione di abitare due Palermo irriducibili, di camminare in una città celeste, con milioni di angeli al suo servizio; mentre, in altre occasioni, sconti la pena di un inferno per chissà quali colpe.

E’ che il palermitano non ama il valore medio; ha bisogno dell’esasperazione, dell’esagerazione: di attraversare lo strade come un set dello sfascio o della redenzione, in cui lui sia comunque il protagonista indiscusso. Noi siamo gli attori di una scena che ci convoca sul palco dei più fiammeggianti entusiasmi e delle più tombali rassegnazioni. E ci piace recitare la parte a memoria.

Leoluca Orlando – un Papa, più che un sindaco – ha compreso perfettamente la sceneggiatura, essendo lui stesso un magnifico attore. L’Orlandismo alterna il meglio e il peggio, per acchiappare il pubblico con un immaginario europeo che segue una sicilianissima disperazione. Una religione, più che un movimento politico, che attira i fedeli con la promessa di un’epifania, sbocconcellata in minuscole quantità nell’attesa della sua sua venuta, mentre la catastrofe avanza. Morricone e il posteggiatore abusivo, a braccetto, nello stesso film.

Ecco perché ci contraddiciamo sempre: sussurriamo peste e corna di ‘Luca’, giuriamo che mai e poi mai… lo insultiamo, prigionieri dell’ingorgo, lo ripudiamo in mille occasioni. E poi, immancabilmente, lo eleggiamo.


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