CATANIA – Cosa nostra ennese dialoga con il clan Cappello-Bonaccorsi. Almeno fino all’estate scorsa. E il punto di riferimento sarebbe stato Pippo Balsamo, imputato chiave del processo scaturito dalla maxi operazione Penelope che a gennaio del 2017 porta in carcere i massimi esponenti della cosca Cappello-Bonaccorsi. Un blitz che si intreccia, forse quasi per caso, con l’indagine Capolinea della Polizia di Enna che oggi ha portato all’arresto di 6 persone, tra cui proprio Giuseppe Calogero Balsamo. Il boss dei Cappello è ritenuto dalla Dda di Caltanissetta il “trait-union” con la famiglia ennese di Cosa nostra per la “messa a posto” di un’impresa che in subappalto stava lavorando sulla posa della fibra ottica in diversi comuni siracusani e catanesi.
Pippo Balsamo non è uno qualunque all’interno della cosca Cappello-Bonaccorsi. E non lo dicono i pentiti. È lui stesso che nel 2013, forse nemmeno immaginando di essere intercettato, che chiarisce il suo ruolo nello scacchiere del clan. È il 19 novembre del 2012, il boss si sfoga in auto: vedete che io di Catania, non voglio sapere più niente, io nei paesi, perché sono un responsabile dei paesi, allora lo tutte le cose dei paesi le voglio sapere”.
Una precisa posizione nell’organigramma mafioso che combacia poi con quella rilevata dal pentito Carmelo Di Mauro che ha disegnato la piramide del clan, pubblicata in esclusiva su LiveSiciliaCatania. E parlando di Pippo Balsamo lo ha descritto come il referente “per i paesi”. Intercettazioni e rivelazioni collimano.
Ma torniamo alle carte della magistratura. E in particolare alle conversazioni captate dalla Squadra Mobile di Catania durante l’indagine Penelope. Ad un certo punto, Pippo Balsamo oltre a rivelare il suo ruolo di vertice fa i conti sulle entrate del clan Cappello. “Senti, noi … ogni mese … si dividono … che ancora bene bene non lo sappiamo neanche noi … ma si dividono tra i 350.00 euro e i 400.000 euro … Ogni mese… inc… Fra i 350 e i 400.000 euro al mese”. Poi parla degli stipendi ai detenuti, e fa riferimento al capo indiscusso del clan Salvatore Cappello, da anni al 41 bis ma coinvolto anche lui nell’indagine Penelope, a cui si deve garantire un fisso mensile. Abbastanza cospicuo. “Noi ad esempio abbiamo a Turi Cappello …Turi ..Turi Cappello ogni mese, sono 10.000 euro … noi che mandiamo .. perchè c’è sua moglie (Maria Campagna, imputata nel processo Penelope) che deve fare il colloquio e ci va con l’aereo … “.
Gli affari dei Cappello-Bonaccorsi come emerge dall’inchiesta Capolinea della Polizia di Enna arriverebbero fino al siracusano, in particolare ad Augusta. Non è una novità in verità. Perché già nell’informativa della Squadra Mobile di Catania si documentavano l’interesse del clan ad Augusta. E in particolare per l’estorsione a una ditta che sarebbe stata contesa con un altro gruppo. L’azienda che sarebbe stata sotto estorsione da parte dei Cappello avrebbe ricevuto la visita di qualcuno e avrebbe anche subito un danneggiamento. Pippo Balsamo di questa situazione si sarebbe lamentato con Giovanni Catanzaro, U Milanisi. Uno dei vertici della cosca, insieme a Salvatore Lombardo, U ciuraru, e a Massimiliano Salvo, U Carruzzeri. Le cimici intercettano il dialogo del boss Pippo Balsamo con altri due indagati dove spiega cosa avrebbe raccontato a Catanzaro. “No.. ci è andato questo “‘mpapocchia “, dice… dice “Pippo Balsamo sta facendo una estorsione ad Augusta”. Ad un certo punto Pippo Balsamo si sarebbe lamentato del comportamento di Giovanni Catanzaro che lo avrebbe delegittimato con l’altro gruppo, pensando che avesse “sforato” il territorio di competenza. Poi però la situazione si sarebbe risolta. “A me mi sembrava che tu stessi facendo il braccio di ferro con loro, allora io automaticamente, gli sto dicendo ‘se avete la capacità levateglielo a Pippo Balsamo’“, racconta il boss intercettato. Poi per appianare ogni questione sarebbe intervenuto Massimiliano Salvo.