PALERMO – Senza stipendio da quasi un anno e senza alcuna prospettiva sul proprio futuro lavorativo. Gli operatori degli sportelli multifunzionali da oggi hanno deciso di scendere in piazza e protestare con un presidio permanente davanti all’assessorato del Lavoro. “La rivendicazione è una e semplice: pretendere la soluzione definitiva senza tamponi o promesse sterili e fini a se stesse” spiega la portavoce degli ex sportellisti Adriana Vital. Che insieme al collega Giovanni Di Vrusa ha anche dato il via allo sciopero della fame.
Passati dal bilancio della Regione al fondo sociale europeo, e da qui ad un ente unico (il Ciapi) per nove mesi, adesso il timore degli operatori è quello di restare senza lavoro. “E così facendo – afferma Vitale – su 1500 lavoratori appena in 600 troveranno una sistemazione. E soltanto per sei mesi. Insomma, una soluzione irricevibile, che trascinerebbe con sé ulteriore incertezza e ci inserirebbe in un circuito peggiore dello stesso precariato – insiste -. Mentre noi chiediamo che la nostra vertenza sia risolta una volta e per tutte”.
In particolare, gli ex sportellisti vedono uno spiraglio nella riforma nazionale dei Centri per l’impiego. “Che in Sicilia non hanno le professionalità necessarie a ottemperare alle nuove norme” è il pensiero della Vitale. Secondo cui la soluzione potrebbe venire proprio dagli operatori degli ex sportelli multifunzionali che “hanno operato in sinergia con i Centri per l’impiego per quindici anni. Formare o riqualificare altro personale avrebbe un costo che non è giustificato in presenza di personale già qualificato con risorse regionali”.
Una soluzione in linea con quanto accaduto nelle altre realtà italiane, sostengono gli operatori. “Il personale nelle altre Regioni è stato riassorbito o inserito nei centri per l’impiego – aggiunge Vitale -. Noi siamo stanchi di soluzioni tampone. Il presidio davanti all’assessorato, così come lo sciopero della fame, andranno avanti fino al momento in cui non si troverà una risposta definitiva al nostro problema. Chiediamo un contratto degno di tale nome – conclude – e la ‘normalità’ di una vita dignitosa”.