PALERMO – Spaccature, contrasti e veleni. Ogni volta che bisogna nominare il nuovo procuratore della Repubblica di Palermo la faccenda si complica. Era successo anche l’ultima volta, otto anni fa, quando alla fine la spuntò Francesco Messineo. Sta succedendo adesso, quando di Messineo, andato via per sopraggiunti limiti di età, si deve scegliere il successore. Il 17 dicembre potrebbe essere la data giusta. Al massimo entro Natale.
Palermo resta una delle Procure più importanti d’Italia. C’è la mafia da combattere. E poi c’è la storia a renderla un unicum nel panorama nazionale. Una storia segnata, purtroppo, da sangue e veleni. Oggi non c’è più, per fortuna, il clima della stagione delle stragi. Ci si deve, però, misurare con un allarme attentato che non proviene da un anonimo – almeno per il momento la cronaca non ne ha più registrati – ma da un pezzo grosso della mafia. È Vito Galatolo boss dell’Acquasanta a dire che Cosa nostra voleva ammazzare con duecento chili di tritolo Antonino Di Matteo, uno dei pubblici ministeri del processo sulla trattativa Stato-mafia. E siamo al nodo cruciale attorno a cui ruotano, principalmente, i veleni e i malumori di oggi. La trattativa rischia di condizionare anche la scelta del nuovo procuratore?
La Commissione per gli incarichi direttivi del Csm, qualche giorno fa, ha proposto al plenum tre candidati alternativi: il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, il rappresentante dell’Italia a Eurojust, Francesco Lo Voi – hanno ottenuto due voti ciascuno – e il capo della procura di Messina, Guido Lo Forte, che ha avuto un solo voto. Per Lari hanno votato i due togati della corrente di sinistra Area; per Lo Voi, invece, il consigliere di Magistratura Indipendente e un laico di Forza Italia, mentre per Lo Forte un togato di Unicost. Si è astenuto il laico del Pd Giuseppe Fanfani. Toccherà ora al ministro della Giustizia esprimere il suo parere sui nomi indicati. Resta il dato che, di fronte ad una simile spaccatura, diverrà determinante il voto dei componenti laici e dei vertici della Corte di Cassazione.
Sulla già complicata faccenda incide il clima della Procura palermitana. Il facente funzioni Leonardo Agueci ha cercato, spesso invano, di dare all’esterno un’immagine di unità, ma i dissidi interni sono forti. Prima il conflitto costituzionale con il capo dello Stato per la distruzione delle telefonate tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino (uno degli imputati), poi la deposizione dello stesso Napolitano sono stati al centro di infuocate assemblea alla Direzione distrettuale antimafia. Sulla centralità del processo nella partita per la nomina del procuratore non ha fatto mistero l’aggiunto Vittorio Teresi, coordinatore del pool Trattattiva. Teresi non ha usato giri di parole, auspicando che il suo nuovo capo sposi con “piena condivisione” il processo.
Quando i tre candidati in lizza sono stati sentiti in audizione davanti al Csm si è parlato, però, di come si vuole organizzate un ufficio chiamato non solo a portare avanti il processo sulla Trattativa e la lotta alla mafia, ma anche a battere piste investigative che devono includere – giusto per rifarci a quanto scoperto in altre grandi città italiane – il malaffare e la corruzione nella pubblica amministrazione o i sempre più delicati reati ambientali. Ed ancora: la stretta patrimoniale sui beni accumulati in maniera illecita. Come dicono alcuni nelle stanze del Palazzaccio “non si vive solo di Trattativa”, anche se resta uno dei processi più delicati mai istruiti in Italia.
A chi dovrà scegliere il nuovo capo dei pm la Procura palermitana offre di sé un’immagine di scarsa compattezza, con punte di astiosità. Il facente funzioni Agueci ha cercato di mettere un tappo alle polemiche, nella speranza di riuscire a lavare i panni sporchi nelle stanze delle Procura. A volte c’è riuscito, a volte no, altre si è dovuto muovere sul filo sottilissimo dei comunicati stampa. L’ultimo scontro si è consumato quando nei giorni scorsi proprio Agueci ha scelto, confrontandosi con gli altri aggiunti, i nomi dei due nuovi pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia. Sono entrati in Dda Gianluca De Leo, 37 anni, e Roberto Tartaglia, di 32. E di Tratattiva si torna a parlare. Tartaglia, infatti, è uno dei pm del processo sul presunto e scellerato dialogo fra mafiosi e pezzi delle Istituzioni. Vive sotto scorta. I pm “sconfitti” hanno deciso di presentare delle osservazioni al facente funzioni per contestarne il metodo di scelta. Non la pongono sul piano personale contro il giovane collega, ma ritengono che non siano state rispettate le regole per la valutazione delle esperienze professionali dei candidati. Non si poteva considerare, dicono, alla stessa stessa stregua l’esperienza – in alcuni casi quasi ventennale – degli esclusi e i cinque anni di carriera di Tartaglia, seppure il giovane pm sia autore di prestigiose pubblicazioni accademiche. E così i sostituti Maurizio Bonaccorso, Maria Teresa Maligno, Daniele Paci e Alessia Sinatra hanno chiesto ad Agueci di rivedere la decisione. Sono pure pronti, come prevede la procedura, a rivolgersi in seconda battuta al Csm. Pare che nelle osservazioni di uno di loro ci sia un riferimento esplicito al processo sulla Trattativa, considerato come la chiave d’accesso in Dda per il giovane e valente magistrato.
Spaccature, dunque. E polemiche. Una delle più recenti è quella che ha visto contrapporsi a distanza Agueci ad uno dei suoi pm. O meglio, ex. Quando il sostituto Vania Contrafatto accettò la nomina di assessore regionale all’Energia, Agueci parlò di “esempio di interferenza della politica sull’attività inquirente che finisce per danneggiarci”. Piccata la replica della Contrafatto: “A destare maggiore stupore è il fatto che a rilasciare determinate dichiarazioni sia un magistrato come Agueci che ricopre il delicatissimo ruolo di Procuratore capo reggente di Palermo: un ruolo che, per la sua importanza, dovrebbe essere al di sopra delle parti e lontano anni luce dalle polemiche. Questo sì che scredita la magistratura”. Un botta e risposta che secondo alcuni è frutto del clima di scontro in cui è piombata da un paio di anni, dunque sotto la reggenza Messineo, la procura di Palermo. Alcuni pm si sono sentiti “sacrificati” sull’altare del processo Trattattiva.
Ora siamo alla scelta del capo di uno più importanti uffici giudiziari d’Italia. Lo Forte era uscito in vantaggio dal primo voto in commissione incarichi, poi il capo dello Stato disse che bisognava dare priorità alle sede scoperte da più tempo. Quando si è tornati a parlare di Palermo, c’era già il nuovo Cms con equilibri diversi. E Lo Forte è stato scavalcato. La partita non è chiusa, ma il magistrato che fu pm al processo Andreotti, “gradito” ai colleghi del pool Trattattiva, parte in forte svantaggio. L’astensione del laico del Pd potrebbe essere un segnale negativo per Lari. Potrebbe, appunto. Perché al Plenum sono sedute molte più persone rispetto alla Commissione. Il procuratore di Caltanissetta si sta occupando delle nuove indagini sulla strage di via D’Amelio che affondano nello stesso contesto in cui si sarebbero verificati gli accordi Stato-mafia. La sua posizione – ad esempio sulla credibilità di Massimo Ciancimino è stato critica e divergente con i pm di Palermo – viene considerata “intermedia” rispetto alla questione Trattativa, specie se considerata a quella di Lo Voi.
Cosa accadrà? Un ultimo elemento va tenuto in considerazione. Il caso Palermo fa parte di una partita nazionale. La corrente di Area vanta già fra le sue file il procuratore di Milano e quello generale di Palermo. Secondo alcuni, è difficile che ottenga un ulteriore e delicato incarico. La partita è aperta.