PALERMO – Due pronunce “parallele”. Che certificano però la stessa cosa: Riscossione Sicilia ha sbagliato a calcolare gli interessi su alcune maxi-cartelle. E così, quelle cartelle sono state “scontate”, e anche di molto, con sentenze che apriranno il varco potenzialmente a migliaia di nuovi contenziosi.
Il primo caso riguarda una società di Ragusa che nel 2014 era stata intimata dalla Riscossione Sicilia a pagare entro cinque giorni ruoli tributari per un rilevante importo: oltre 300 mila euro. Una cifra che appare subito abnorme, così la società chiede spiegazioni. Riscossione, però, in quel caso non fornisce informazioni sul calcolo del debito, e l’azienda decide di rivolgersi all’avvocato tributarista palermitano Alessandro Dagnino per l’avvio di un contenzioso per verificare appunto la correttezza della quantificazione degli interessi su quella cartella.
Pochi giorni fa, ecco il responso della Commissione tributaria provinciale di Ragusa, presidente Antonio Brafa Misicoro, relatore Luigi Mario Fidone, componente Giuseppa Leggio: la sentenza ha condiviso la tesi della società, dichiarando che l’Agente della riscossione aveva calcolato erroneamente gli interessi sui ruoli. In particolare, sulla base della relazione tecnica contabile, i giudici tributari hanno affermato che l’esattoria aveva applicato interessi non dovuti per oltre 91.000 euro sui 304.000 complessivamente richiesti.
“La Commissione tributaria – il commento dell’avvocato Dagnino – ha affermato un importante principio, secondo il quale l’Agente della riscossione deve sempre computare gli interessi di mora sulle cartelle (cioè quelli dovuti dopo la scadenza del termine per il pagamento), sulla sola parte corrispondente alle imposte, escludendo la parte relativa a sanzioni e interessi maturati fino alla formazione del ruolo. Questa metodologia di calcolo è stata espressamente prevista dalla legge a partire dal 13 luglio 2011. Nel caso di specie la Riscossione Sicilia, per le cartelle anteriori al 13 luglio 2011, aveva invece capitalizzato le sanzioni e gli interessi. La mora, quindi, era stata liquidata in percentuale del ‘totale debito’ corrispondente a imposta, sanzioni e interessi, anziché solo sull’imposta. Il perito nominato dai Giudici tributari ha calcolato che questo errore ha generato un aumento degli interessi e dell’aggio esattoriale di quasi il 50% rispetto all’importo effettivamente dovuto dalla società”.
Insomma, ecco un grosso “taglio” alla cartella. Una sentenza che fa il paio con quella emessa dai Giudici tributari di Palermo, al termine del primo grado di un giudizio “gemello”. In tutti i sensi, visto che anche in questo caso il difensore del professionista che ha presentato ricorso è sempre l’avvocato Dagnino.
Con questa decisione la Commissione tributaria provinciale, presidente Giovanni Liguori, relatore Giacomo Maria Nonno, componente Luciana Savagnone, ha ritenuto illegittima l’attività di rateazione del debito tributario da parte della Riscossione sotto due profili, sollevati dal difensore del contribuente. In primo luogo, è stato ritenuto illegittimo il cumulo, da parte dell’Agente della riscossione, degli interessi di mora con quelli di dilazione dovuti nel caso di rateazione del debito.
La Commissione, ha infatti osservato che “una volta che il contribuente ha ottenuto la dilazione, egli non può più essere considerato in mora, cosicché non decorrono più gli interessi di mora, ma solo quelli di dilazione. Nessun cumulo è consentito”. In questo caso, quindi – e chissà quanti altri casi simili possono essere adesso rinvenuti – il contribuente si è trovato a pagare due diverse sanzioni.
In secondo luogo, poi, i giudici hanno ritenuto illegittima la prassi dell’esattoria di concedere le dilazioni secondo il piano di ammortamento ‘alla francese’, cioè mediante rate composte da quota interessi decrescente e quota capitale crescente. E infatti, secondo i Giudici tributari, la ratio delle norme esattoriali “è quella di prevedere un’imputazione dei pagamenti effettuata prima al capitale, poi alle soprattasse e alle sanzioni, quindi agli interessi. Ne consegue che il piano di ammortamento ‘alla francese’ si rivela illegittimo, perché capovolge i criteri di priorità dettati dalla legge, mentre apparirebbe legittimo un piano di ammortamento che opera secondo criteri esattamente opposti”.
“Anche questa decisione – spiega Dagnino – stabilisce degli importanti e innovativi principi di giustizia in materia esattoriale, dichiarando illegittime metodologie di calcolo che costringono i contribuenti, spesso già in difficoltà finanziaria, a sopportare rilevanti oneri che si aggiungono al già elevato carico fiscale cui sono sottoposti in base alla legge tributaria. I contribuenti morosi – conclude l’avvocato – si trovano in una situazione di svantaggio nei confronti dell’Agente della riscossione, in quanto sono consapevoli di trovarsi in debito con il Fisco e per questo sono soliti accettare le rateazioni che vengono loro proposte senza controllare se viene richiesto il pagamento di debiti prescritti o se sono stati commessi errori nella quantificazione degli interessi”. Ma qualche volta, e i casi adesso potrebbero diventare tanti, ha ragione il cittadino.