Celebriamo il coraggio della retta coscienza e della forza di un’esistenza culminata in quella fuga inutile e disperata dai sicari della Stidda: la pulizia di chi è consapevole che sta ‘pagando’ per la sua innocenza e sa che, nonostante l’approssimarsi del momento dolorosamente supremo, altra strada non c’era. Non sappiamo quali pensieri e quali sentimenti, oltre la necessaria paura, passino nell’anima di chi sta per essere assassinato. Ma possiamo forse immaginare che non sia estranea la percezione di un sentiero luminoso, quando è stato seminato per tempo, unito a una fortissima speranza.
Celebriamo la coerenza del giudice Rosario Livatino che oggi viene proclamato beato, nella fisionomia di un uomo che aveva garbo, dolcezza e gentilezza, ma rimaneva fermo nel suo confine di principi non negoziabili.
Ma ricordiamo anche la prossimità che fa del magistrato spento a soli trentasette anni un beato della porta accanto, un sostegno nel cammino, un vicino di casa, una figura simbolica e affettuosa. Uno che potresti svegliare nel cuore della notte per chiedere aiuto, per raccontargli una pena, per condividere un problema di incerta soluzione.
Pensiamo a Rosario Livatino, pur non avendo frequentato le stesse scuole, come si pensa a un compagno di banco negli anni che seguono l’adolescenza. Qualcuno che farà parte della tua vita più salda, in un luogo intimo e pulito. Le stagioni si susseguono. “Cadranno gli inverni” sopra i visi di tutti. Eppure, tale è il miracolo che ci consente di avere, dentro di noi, panorami intoccati, per non dimenticarci di noi stessi.
“Livatino – è stato ricordato – fu ucciso lungo la statale che ogni mattina percorreva in auto da Canicattì – dove viveva con i genitori – al tribunale di Agrigento. Aveva rifiutato la scorta. Per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro – i mafiosi lo definivano, con spregio, ‘santocchio’ proprio per la sua frequentazione della Chiesa – fu avviata la causa per elevarlo agli altari. Dalle testimonianze, anche del mandante dell’omicidio, e dai documenti processuali, emerge che l’avversione nei suoi confronti era inequivocabilmente riconducibile all’odium fidei (odio della fede)’.
“Rosario era un uomo buono e accogliente”, ha sempre detto Salvo Insenga, cugino del magistrato, che aveva vent’anni all’epoca dell’omicidio. “Nella vicenda di Rosario – dice adesso – è importante tenere presente questo: la giustizia umana e la giustizia divina possono camminare insieme e dipende da noi. Dipende, cioè, da noi far sì che si condanni la colpa e che si cerchi di redimere la persona che ha sbagliato. Ora, Rosario con Livatino, come don Pino Puglisi, grazie alla Chiesa, è ancora di più un faro per illuminare le coscienze”.
Oggi ad Agrigento, il giudice Rosario Livatino verrà proclamato beato. Dopo il decreto di Papa Francesco. “Il Signore ha benedetto ancora questa nostra terra!”, hanno scritto i vescovi siciliani nel loro messaggio. Una terra che è stata spesso costretta a rimpiangere i suoi figli migliori.