Dunque il Pd nazionale lo sa. “I vizi della specialità prevalgono sulle virtù dell’autonomia. Sarà per lo statuto, sarà che c’è un governo regionale nato ai tempi della segreteria Bersani: qui, tutto funziona come prima”.
Dunque, il sottosegretario Davide Faraone – autore della lettera a LiveSicilia, di cui ripubblichiamo qualche stralcio – è a conoscenza del massimo dei problemi: “In campagna elettorale la parola d’ordine di Crocetta è stata ‘rivoluzione’. (…). L’ideologia, nella rivoluzione in salsa sicula, è servita per tenere tutto fermo, per ingolfare ogni tipo di cambiamento”.
Sorge spontanea una domanda: se il Pd maggiore è a conoscenza dei fatti e dei misfatti di quaggiù, perché non interviene sul suo fratellino minore – altrimenti detto Pdc, Partito del Chissenefrega – imponendogli di cambiare rotta e di chiudere, finalmente, una catastrofica esperienza di governo? Se a Roma è pacifico che il dramma aggiuntivo della tragedia siciliana ha un nome e un cognome – si chiama Rosario Crocetta, con la sua rivoluzione farlocca – come si può continuare a volgere lo sguardo altrove, fingendo che non stia accadendo nulla?
Il dramma del dramma che tracima in tragedia è proprio questa ineluttabilità del Crocettismo; il suo stagliarsi alla stregua di ostacolo insuperabile, per alchimie di poltrone che poco hanno a che fare con il benessere comune, per la fifa blu di quella famosa trazzera che porterebbe dritti i grillini a Palazzo d’Orleans.
Ed è l’amara sconfitta della politica, da Roma a Palermo. Si sa, si sa perfettamente, chi è Saro Da Gela. Le sue mattane sono evidenti. La sua inconsistenza presidenziale è letteratura scientifica. La sua rivoluzione è un’impostura che scava e distrugge qualcosa di più ogni giorno che scorre. Non lo dicono, stavolta, i grillini. Non lo scrive la stampa, ovviamente nemica e mossa da interessi inconfessabili, nell’ermeneutica comoda del potere. Non lo affermano i commentatori di quotidiani e blog, sospettabili di mafiosità di andata e di ritorno. E’ una verità stampata a lettere di fuoco da Davide Faraone, sottosegretario renziano, apostolo della renzietà, intesa nel senso di idea platonica, plenipotenziario del renzismo alle nostre latitudini: la notizia del disastro è conosciuta ovunque.
E si sa anche altro. Che l’autonomia è una menzogna, un’illusione ottica della conservazione; la bocca spalancata che ha prosciugato risorse, idee e ricchezza, in nome di una bandiera strappata; l’alibi dei siciliani mascherati da ribelli che preferiscono un regno isolato di macerie, una pozzanghera piuttosto che il mare aperto.
I siciliani in maschera, già. Quelli che non leggono Sciascia, quando oltrepassano lo Stretto, perché bisogna cancellare l’accento davanti la propria tana, ma in patria – sciroccati e sicuri – confessano di tenere ‘Il Consiglio d’Egitto’ sul comodino. E si mostrano arroganti a Pachino, ma sottomessi a Cuneo, colonizzati nell’animo, orgogliosi nella finzione dell’indipendenza: un miscuglio di guaiti al vento e catene.
E tutto, ormai, si sa. Tutto è arrivato lì dove doveva arrivare. Ogni tragico sussurro è stato ascoltato nelle stanze abitate da chi decide davvero. Allora perché nulla si muove? Perché?