Alberto Arbasino scrive candidamente su “Repubblica” di oggi: “Per le imminenti celebrazioni e concelebrazioni della nostra Italia Unita, non sarebbe fantastico se i più noti congiunti degli innumerevoli Caduti e Cadute d’Italia, al di là d’ogni personalismo individualistico, finalmente si riunissero in un Partito Nazionale dei Parenti delle Vittime? Anche in vista di qualche successo elettorale prevedibile”.
In effetti c’è ampia scelta di stragi – aggiungiamo noi – Bologna, Ustica e ancora le sicilianissime Capaci e via D’Amelio. Ma forse è proprio perchè siamo siciliani, nutriti a sangue e bombe, forse sarà per questo che le parole dell’Illustre Vate ci danno un leggero voltastomaco? Il filo dell’ironia è sottile, a calcarlo con passi e scarpe pesanti si rischia il crollo, il capitombolo, la figuraccia. Ci pare che siamo davanti a un caso di scuola. Intanto perchè le parole arbasiniane danzano sul ritmo di un compiaciuto e godereccio sfottò che, visto l’argomento, ci sembra inappropriato, alla stregua di un abito color aragosta e pieno di perline esibito a un funerale. E poi perché – in questo strano Paese – i parenti delle vittime hanno avuto sempre di meno, sempre poco, rispetto al risarcimento dovuto. Hanno avuto brandelli di verità, hanno avuto strazio acuminato nel cuore e continuano ad averlo. Hanno avuto una carta d’identità segnata dal nero del lutto. E, nonostante tutto, ogni volta, se per caso alzano la voce, salta su qualcuno a zittirli, perché privi – unici, in un’Italietta di chiacchieroni – del permesso di urlare. Già, loro sono quelli che hanno fatto fortuna, che hanno “speculato” sulla fine dei loro cari. E ripetutamente i cosiddetti parenti delle vittime sono stati costretti a spiegare, a separare il cuore dalla ragione, a dividere le legittime ragioni personali e sentimentali dal senso civile delle loro azioni. Pezzi di Nazione sacrificati, vilipesi, senza nemmeno la patente della rabbia pubblica. Non saranno mai un partito, i parenti dei morti violenti. Non vinceranno mai le elezioni. Semplicemente perché fanno parte dell’Italia migliore. Dell’Italia che ha imparato a conoscere la sua faccia oscura.
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