PALERMO – La Regione siciliana è il grande assente del processo che vede imputati il chirurgo Matteo Tutino e altre sei persone. L’assessorato alla Salute non si è costituito parte civile. E neppure la Presidenza della Regione. È vero che hanno ancora tempo per farlo, ma hanno perso la prima vera occasione per garantirsi, in caso di condanna degli imputati, la possibilità di avere riconosciuto il risarcimento dei danni.
Ed invece non c’era alcun avvocato a rappresentare la Regione all’udienza preliminare. Potranno rimediare alla prima convocazione in dibattimento, qualora gli imputati saranno rinviati a giudizio, ma l’assenza di oggi è stata vistosa. Vistosa e ripetuta: la Regione non si era presentata già alcuni giorni fa, quando il processo era stato subito rinviato. Sotto accusa ci sono, fra gli altri, Tutino, medico personale di Rosario Crocetta, e l’ex manager dell’ospedale Villa Sofia, Giacomo Sampieri che, quando governatore era Crocetta e assessore alla Sanità Lucia Borsellino, fu scelto per guidare l’azienda palermitana. Le nomine dei vertici sanitari hanno una connotazione politica. La stessa politica che, almeno fino ad oggi, ha ritenuto di non avere subito alcun danno dallo scandalo che travolse Villa Sofia.
Il gip Nicola Aiello deciderà il prossimo primo luglio la posizione, oltre che di Tutino e Sampieri, anche di Damiano Mazzarese, dirigente del dipartimento di Anestesia e rianimazione dell’azienda ospedaliera; Maria Concetta Martorana, ex direttore sanitario; Giuseppe Scaletta, ispettore della Digos, e la moglie genetista, Mirta Baiamonte e la paziente Alessia Di Blasi (una paziente che con le sue dichiarazioni avrebbe favorito il chirurgo). Quest’ultima ha scelto il rito abbreviato. Il procuratore aggiunto Leonardo Agueci e il sostituto Luca Battinieri hanno chiesto la condanna a otto mesi.
Secondo l’accusa, Tutino avrebbe eseguito interventi estetici spacciandoli per funzionali e cioè necessari a salvaguardare la salute dei pazienti. Il tutto senza avere scelto il regime di attività intramuraria. L’ex primario avrebbe dirottato i pazienti in ospedale, scavalcando il centro di prenotazione e le liste di attesa. Si sarebbe fatto pagare per operazioni che non avrebbe potuto eseguire in ospedale, falsificando le cartelle cliniche affinché i pazienti ottenessero dal servizio sanitario nazionale un rimborso che non gli spettava. E così nei suoi confronti vengono ipotizzati i reati di truffa, peculato e falso. Come falsa sarebbe stata l’autocertificazione con la quale Tutino, nel momento in cui presentò la domanda per diventare primario, dichiarò di non avere precedenti penali. Ed invece nel suo casellario giudiziale c’è una sentenza irrevocabile con la quale nel 1989 è stato condannato per omicidio colposo.
E poi ci sono gli abusi d’ufficio: quello che avrebbe commesso assieme all’ex commissario Sampieri per evitare che si completasse l’iter del procedimento disciplinare aperto a suo carico quando da Palermo si era trasferito a Caltanissetta e quello che ha avuto come “vittima” Francesco Mazzola. Mazzola è uno dei medici arrivati allo “scontro” con Tutino e Sampieri. Il primario e la direttrice sanitaria Maria Concetta Martorana si sarebbero messi d’accordo per trasformare la reperibilità di Mazzola durante la notte di capodanno in guardia attiva in reparto.
Un altro falso è legato ad un intervento chirurgico del luglio 2013. In sala operatoria con Tutino c’era “tale dottor Ochoa (dovrebbe trattarsi del chirurgo Enrique Ochoa)” in veste di “observer”, cioè di osservatore. In realtà, così hanno detto alcuni testimoni, il medico – “amico di Tutino e di fama internazionale” – avrebbe preso parte all’intervento senza alcuna autorizzazione”.
Nell’inchiesta sono coinvolti l’ispettore Scaletta, e la sua compagna, la biologa Baiamonte. Rispondono di tentato abuso d’ufficio. Il troncone dell’inchiesta è quello sulla “banca dei tessuti” a Villa Sofia. Secondo gli inquirenti, Tutino avrebbe stretto un accordo con l’Ivf mediterranean centre della biologa e il marito si sarebbe dato da fare affinché l’affare della banca dei tessuti andasse in porto al più presto, ma il progetto fu bloccato in assessorato perché il partner bisognava sceglierlo con una gara pubblica.
Quando fu spedito l’avviso di conclusione delle indagini vennero fuori altre ipotesi di reato. Innanzitutto un falso legato al un nuovo ambulatorio di Chirurgia maxillo-facciale. Era tutto organizzato, compreso l’orario delle visite. La nota che ne comunicava l’apertura era firmata da Matteo Tutino per la Chirurgia maxillo-facciale e dal “direttore dell’Unità operativa di Odontostomatologia”. Solo che il direttore dell’Unità, Vincenzo Galioto, disse agli investigatori che la firma apposta sul documento non era la sua. Tutino ha ammesso di avere firmato lui, ma per conto di Galioto. Nuovi particolari emersero nel conflittuale rapporto con Mazzola, tanto da arrivare a ipotizzare il mobbing. Tutino avrebbe mosso delle censure disciplinari “strumentali” sostenendo che si fosse sottratto al suo dovere di assistere un paziente. Mazzola, inoltre, stressato dal clima a lui sfavorevole che si respirava in ospedale aveva preteso che una commissione ne valutasse il suo stato di salute. La commissione stabilì che in effetti era opportuno che lasciasse il reparto. Tutino, a quel punto, avrebbe esercitato pressioni affinché la valutazione venisse cambiata.
Infine ci sono le calunnie. Tutino ha sostenuto davanti agli investigatori di essere stato costretto a fare intervenire Ochoa in sala operatoria perché sarebbe stato abbandonato in sala operatoria dai colleghi Dario Sajeva e Giuseppe Lo Baido. Di fa favoreggiamento invece devono rispondere Sampieri e la Martorana. Secondo l’accusa, sapevano dell’incursione “non autorizzata” del medico in sala operatoria ma non lo avrebbero denunciato, finendo per aiutare Tutino.
E ci sono pure le calunnie nei confronti dei militari del Nas che nell’aprile 2014 intervennero d’urgenza in sala operatoria. Il chirurgo disse che il loro arrivo finì per bloccare l’operazione. “Falso”, sostiene ora l’accusa: l’operazione non era iniziata perché un anestesista si era rifiutato di intervenire se prima non fosse stato certo che l’intervento in calendario rientrava fra quelli plastici autorizzati e non fra quelli estetici fuorilegge in ospedale. La notizia dell’indagine su Tutino era ormai di dominio pubblico e l’anestesista non voleva restare coinvolto.
Si sono costituiti parte civile l’azienda Villa Sofia, l’ordine dei medici, e i dottori Sajeva e Mazzola. Sono assistiti dagli avvocati Mauro Torti, Corrado Nicolaci, Michela Dolce e Giuseppe Gerbino.