PALERMO – I dati su import-export del Centro Studi di Unioncamere espongono un risultato sorprendente: la provincia italiana che ha esportato di più in Italia è Siracusa, con un balzo del 23 per cento circa, che ha regalato alla Sicilia la testa della classifica in fatto di export. Lombardia e Veneto, le regioni d’avanguardia, sono state sorpassate e distanziate di quasi due punti percentuali. La Lombardia ha aumentato le esportazioni in un anno, nel 2012, di appena il quattro per cento. Un’inezia, rispetto al +11% dell’Isola. Come mai allora la nostra regione è, secondo i dati pubblicati pochi giorni fa dall’Istat, terzultima per Pil e penultima per percentuale di occupazione? Perché la Sicilia non ha alcun vantaggio economico dalla bilancia commerciale?
Le risposte, ad analizzare bene i dati, sono evidenti: su un valore complessivo di circa 10 miliardi, al netto delle esportazioni petrolifere – che coprono i due terzi del totale – l’export incide solo per poco più di 3 miliardi, un nonnulla rispetto ai 23 miliardi spesi per le importazioni. Ed è necessario estromettere i dati sul petrolio, poiché quelli riguardano la raffinazione degli idrocarburi e la verticalizzazione del greggio e dei suoi derivati, dei quali alla Regione arrivano le briciole (circa un euro ogni trenta). Le aree storiche dell’industria di raffinazione – Gela, Augusta-Priolo-Melilli e Milazzo – “regalano” infatti alle rispettive province posizioni non certo apicali per quanto riguarda i redditi pro capite (Caltanissetta al 104°, Siracusa al 102°, Messina al 100° in Italia, con Pil pro capite di poco superiore ai 15mila euro annui).
l record dell’export in Sicilia incrociano il gap dei consumi nel settore primario, l’alimentazione. Spendiamo quasi dieci miliardi di euro per mangiare e bere, ma produciamo per appena quattro miliardi. Sei miliardi di euro, dunque, escono dalle nostre tasche e finiscono in regioni che non vantano perfomance straordinarie dell’esportazione, ma mantengono un trend di sviluppo, seppur basso, costante.
Amaro e caustico il commento di Vittorio Messina, vicepresidente di UnionCamere Sicilia: “Siamo di fronte ad un’Isola colonia, incapace di trarre profitto delle ricchezze che madre natura ha messo a disposizione dei Siciliani, che hanno permesso e continuano a permettere a terzi di spogliarli per poi gridare ‘governo ladro’ non appena escono i dati economici che la posizionano sempre e sempre più in fondo”.
Il direttore di Confindustria Sicilia, Giovanni Catalano, fa rilevare che, purtroppo, pur essendo una grande regione con 5 milioni di abitanti, la Sicilia sconta lo scarso peso dell’industria manifatturiera, che genera un valore aggiunto di appena l’8,9 per cento contro una media nazionale del 16 per cento. “Il settore agroalimentare ha grandi potenzialità – commenta Catalano –, e da questo punto di vista il progetto ‘Born in Sicily’ ideato dall’assessore Dario Cartabellotta va nella giusta direzione. Ciò da solo però non basta. Bisogna, infatti, far crescere il sistema manifatturiero nel suo complesso tenuto conto che a questo livello non è possibile sostenere un sistema pubblico allargato che nella nostra regione pesa sul Pil per il 34 per cento, rispetto al 14 per cento della Lombardia o dell’Emilia Romagna”.